È uscito il nono album in studio di Kanye West.
Jesus is King è finalmente arrivato, 11 tracce che compongono un lavoro di 27 minuti, 11 tracce senza fronzoli, senza alcun tipo di intro allungato senza alcun outro invadente. Sembra quasi che la registrazione delle canzoni sia cominciata dopo, a pezzo già iniziato. Come se Kanye West avesse addirittura fretta di arrivare al succo, pronto a diffondere quel messaggio di cui lui stesso aveva bisogno più di chiunque altro in questo particolare momento della sua carriera.
Il progetto è ambizioso, difficile pensare di creare un album gospel-rap in un ambiente culturale come quello di oggi. Contando anche il fatto che rap e gospel non siano due generi esattamente complementari. Un primo abbozzo di questa tipologia di sperimentazioni, si era però già sentita in Jesus Walk, canzone del primo album di Kanye, The College Dropout (2004), o nella prima canzone di The Life Of Pablo (2016), Ultralight Beam in cui i suoni di Jesus is King iniziano ad essere solo accennati. Oppure nei lavori del giovane rapper di Chicago, Chance The Rapper, amico di Kanye che ha avuto molto probabilmente un ruolo centrale nel processo di creazione dell’album.
Un album profondamente legato a quello precedente, non solo perché alcuni dei temi su cui Kanye si concentrava in Ye (2018) ritornano in questo nuovo progetto, ma soprattuto perché, se Ye era il racconto del viaggio attraverso i suoi problemi mentali, Jesus is King ci racconta di come è riuscito a superarli.
Ci sono tantissimi rimandi alla religione, a passi del vangelo e ad una catena che sta chiusa la domenica per motivi religiosi. Il modo in cui un essere umano tenta di essere più vicino al suo Dio – se crede in qualcosa – non deve concernere gli altri (purché non faccia stragi di alcun tipo).
Nonostante i profondi dubbi dello stesso Kanye sulla riuscita del progetto – in un’intervista aveva affermato che non aveva idea di come rappare per Dio – la produzione è meravigliosa: corale, studiata, nuova, pronta in qualsiasi momento a farti accapponare la pelle con l’insieme di voci che accompagnano tutto l’album ma che purtroppo, forse proprio a causa della sua fretta di esprimere il messaggio, non riesce mai ad arrivare alla perfezione.
Le canzoni si interrompono sempre sul più bello, quando la magia che Kanye ci ha dimostrato di saper creare con My Beautiful Dark Twisted Fantasy, non è ancora nelle tue orecchie. Non si raggiunge mai il climax che si potrebbe raggiungere con un minuto in più in Water – traccia forse più significativa del progetto che rappresenta il battesimo e la nuova vita di Kanye – o a cui porterebbe l’assolo di Kenny G sulla base di Use this Gospel alla fine della canzone.
La più grande pecca dell’album sta proprio nella sua brevità, 11 tracce che compongono solo 27 minuti di album, ma prima di giudicare definitivamente il lavoro bisognerà aspettare qualche mese.
Dovremo aspettare il film in I-Max e un disco in collaborazione con il Sunday service in uscita a dicembre. Il tutto ci deve far pensare che questo progetto non sia per nulla concluso, che la sua evoluzione come artista e come uomo sia solo all’inizio e che entro poco tempo potremo assistere alla visione finale di quel genio musicale che è Kanye West e che inevitabilmente, ancora una volta, ha cambiato le regole della musica.