Un contadino, stanco di lavorare alle dipendenze altrui, decide di provare a coltivare un terreno abbandonato e ritenuto da tutti incolto, denominato per questo “cagàda del diàvulo”. Dopo averlo bonificato e coltivato, ecco che sorprendentemente il terreno si scopre molto fertile, ed è qui che si inserisce il personaggio del furbo aristocratico, che con la prepotenza cerca di appropriarsi del territorio abbandonato, reclamandone la proprietà. Il contadino non cede, finché il nobile decide di umiliarlo stuprando la moglie davanti a lui e ai suoi figli. Questo atto costerà caro al contadino, che perderà a breve la moglie e i figli.
A questo punto, al povero contadino sull’orlo del suicidio compare Gesù, che, dopo un primo dialogo che non riporto, rivolge queste parole al contadino in italiano, tradotto dal linguaggio popolare scritto dal premio Nobel Dario Fo):
“È giusto che sia finita così… in questo modo”. “Per quale ragione Cristo?”, gli risponde il contadino. “Perché te la sei tenuta tutta per te questa terra, e non l’hai spartita con gli altri contadini, mascalzone!”. Al che gli risponde ancora il villano: “Ma cosa dici? Spartire con gli altri un fazzoletto di terra che bastava a malapena a me e alla mia famiglia?”. E Cristo controbatte: “Non fare il piagnone. Potevano venirci ad abitare tanti altri disperati come te. Dimmi villano…sei andato intorno per casali a raccontare la tua storia? Hai cercato di tirarli dentro la tua vita? […] E soprattutto villano impara a ridere. Non piagnucolare. Impara a tramutare anche il terrore in risata2.
Da: “La nascita del giullare – Mistero Buffo”.
È strano pensare che questa sia la trama di una commedia. Sta anche in questo la grandezza di questi testi. In queste parole e in questo racconto, è racchiuso lo spirito e il messaggio che si coglie assistendo al Piccolo Teatro Paolo Grassi ad una delle repliche di “Mistero buffo” di Dario Fo, interpretato da un magistrale Mario Pirovano riportato in scena fino al 20 ottobre.
Pirovano, molto stimato dallo stesso Fo, esordisce con “Mistero buffo” nel 1991, dopo una lunga collaborazione con il duo sentimentale e professionale Fo e Rame come regista e in aiuto-regia. A quanto dice lui stesso, la folgorazione che gli destò in lui la visione di “Mistero buffo”, lo spronò a studiare la capacità tecnica e fabulatoria del maestro Fo fino ad arrivare a portare in scena lui stesso lo spettacolo, non solo in Italia ma in tutto il mondo.
Mistero Buffo è infatti un testo che parla a tutti. Non è limitato ad un solo contesto sociale, non ha bisogno di conoscenze preliminari, non richiede sforzi immaginativi complicati al pubblico.
Al contrario è molto diretto, semplice ed efficace. Il pubblico presente al Teatro Grassi è un pubblico vivo; gente che si interroga, bambini che disperati chiedono alla madre cosa avesse detto l’attore in quella lingua che non sempre capiscono. Ma soprattutto ciò che rende ancora più magico questo spettacolo, è la presenza di molti adolescenti, così raramente presenti e partecipi al teatro; è questo motivo di elogio per la genialità di uno spettacolo come questo capace di colpire tutti, attraverso l’arma sottile della risata.
A questa semplicità ed efficacia del testo si contrappone la difficoltà in cui si imbatte l’attore che deve fare affidamento su un utilizzo esemplare della voce, del corpo e dello spazio per personificare una pluralità di personaggi e di oggetti. Non esiste infatti scenografia o audio in questo spettacolo.
C’è solo il corpo dell’attore che, impavido di queste costrizioni fittizie, tiene comunque incollati a sé tutti gli occhi di un teatro quasi completamente pieno.
Egli fa quello che avrebbe dovuto fare il contadino del racconto citato. Condivide il suo fazzoletto di terra. Porta in scena la sua misera condizione umana. Tutte le trame di questi racconti sono infatti molto crude e toccanti, se considerate a mente lucida. E tramite questa offerta, o immolazione, l’attore instaura un rapporto di complicità col pubblico, con cui molto spesso si trova a interloquire, creando un forte senso di gruppo e destando in esso la propria libertà di azione. Ciò che rende possibile tutto ciò è la risata.
Tutti i personaggi sono personaggi attivi che mai si lamentano di quello che gli succede. Al contrario sorprende la forza di volontà, con cui affrontano tutto ciò che capita loro, anche i fatti più drammatici. Una volontà così irreale che diventa comica. Gli spettacoli di Dario Fo portano ala luce nel modo più dolce possibile i problemi delle masse, e creano nell’immaginazione di ogni spettatore una reale via d’uscita racchiusa nella potenza del gruppo.
Dimmi villano! Hai provato a tirare gli altri dentro la tua vita?
Articolo di Simone Muciaccia