Del: 15 Ottobre 2019 Di: Redazione Commenti: 0

Articolo di Simone Muciaccia

“Il teatro può esistere senza costumi e scenografie? Sì.

Può esistere senza musica che commenti lo svolgersi dell’azione? Sì.

Può esistere senza effetti di luce? Certamente.

Ma può esistere il teatro senza attori? Non conosco esempi del genere.

Può esistere il teatro senza spettatori? Ce ne vuole almeno uno, perché si possa parlare di spettacolo.

E così non ci rimane che l’attore e lo spettatore.” Grotowskij.

 

Su questa provocazione si sta muovendo da anni Michele Losi, e con lui il progetto di produzione “Pleiadi Art Productions” di cui è cofondatore, e che ha ideato la performance R 500, realizzatasi dal 3 al 6 ottobre presso la Zona K. Dice Losi: «Togliere gli spettatori dal solito spazio teatrale li rende più attenti e coinvolti nella performance, teatrale o esperienziale, grazie al potente stimolo dell’ambiente circostante». Pleiadi nasce nel 2015 a Campsirago Residenza e lavora ormai da anni nella sperimentazione nell’ambito della performing art, del teatro nel paesaggio e delle produzioni site-specific.

Nella performance R 500, i costumi sono i vestiti che scegliamo per recarci a teatro, le scenografie il mondo intorno a noi, la musica quella urbana e le luci quelle naturali.

Ma facciamo un passo indietro. In cosa consiste esattamente il progetto R 500?

R 500, o meglio “raggio 500”, è un esperimento dove scienza e teatro si fondono per regalare un’esperienza artistica a 360°. Si inserisce all’interno della area tematica “Ecology” della stagione teatrale della zona K. È stato ispirato dal lavoro del professore di botanica Joop Schaminée, che aveva indagato e condotto per un anno intero ricerche in un territorio nella provincia olandese di Zeeland, dall’estensione di un miglio quadrato.

Le ricerche condotte non erano solo di carattere scientifico ma anche di tipo antropologico, grazie all’aiuto della gente locale, e da quest’esperienza ne sono scaturiti libri, documentari e altre opere.

Sulla stessa linea di lavoro si articola la suddetta performance; per una settimana gli ideatori e realizzatori del progetto ( Michele Losi, Sjoerd Wagenaar, Sofia Bolognini, Liliana Benini, Luca Maria Baldini, Emilio Padoa Schioppa) hanno operato una ricerca nella zona ristretta milanese del quartiere Isola, più precisamente nel territorio circolare avente come centro la sede del teatro Zona K (via Spalato 11) e come raggio 500 metri.

La ricerca consisteva in una prima fase di raccolta di ogni tipo di informazione, sia rispetto all’architettura e alla sua evoluzione nel corso della storia (grazie anche ad una squadra di architetti che ha partecipato attivamente alla creazione e alla messa in scena del lavoro), sia dalla raccolta di ogni tipo di reperto (dalla pallina da tennis incastrata nel cespuglio allo scontrino di Just Eat abbandonato sul marciapiede), sia nell’ascolto di testimonianze e storie da parte dei locali.

In una fase successiva tutte queste informazioni sono state organizzate e presentate al pubblico creando un collegamento tra le storie raccontate, i reperti, i rumori con i luoghi protagonisti.

Si perché il vero protagonista di questa performance è proprio l’ambiente circostante, e la sua relazione con i fruitori, mediata dalla meticolosa ricerca degli organizzatori.

Il tutto è presentato con il minimo filtro. Mentre camminano lungo la via del mercato, gli spettatori, dotati di cuffie centralizzate, ascoltano l’intervista e le parole registrate di un mercante che descrive la trasformazione del quartiere isola e del suo lavoro nel corso della sua vita nel quartiere.

Così come durante la passeggiata, grazie alla guida da parte degli attori, l’attenzione del pubblico viene catturata dalla segnalazione in gesso (eseguita e ben notificata nella ricerca preliminare degli artisti) di piante selvatiche che popolano in quantità i marciapiedi e il bordo delle strade, portando alla luce particolari che solitamente cadono nell’oblio mentre si passeggia frettolosi e apatici lungo le strade della città. Gli spettatori rimangono come catalizzati da quelle piccole forme di vita che, incuranti della minaccia circostante, cercano di esistere, di respirare, di emergere. E con quella nuova consapevolezza si alza poi lo sguardo, gustando lo spazio circostante che assume di passo in passo sfumature sempre diverse.

Un’esperienza che offre l’occasione di provare un senso di appartenenza per l’ambiente. Per il luogo pubblico. Un posto che diventa di chi lo vive.

La consapevolezza e il senso di appartenenza sono il primo passo verso la creazione di un senso civico ed ecologico. Il primo passo verso la preservazione del nostro spazio vitale.

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