Del: 9 Ottobre 2019 Di: Michele Pinto Commenti: 3

C’è un motivo se l’irlandese Sally Rooney ha conquistato la cima delle classifiche letterarie per due volte in pochi mesi. Il merito non è solo della sua scrittura incantevole. E non è nemmeno della trama e delle vicende che narra. La vera differenza la fa l’attitudine a raccontare cose reali, vissute o vivibili, e a farlo guardandole di lato, da un’angolatura diversa. Nessuno l’aveva fatto così bene prima di lei.

Prendere in mano Parlarne tra amici e Persone normali, i due romanzi che ha pubblicato, è il modo più facile per scoprirlo.

Sally Rooney è irlandese ed è nata nel 1991. Questo dato anagrafico ha spinto i giornali di mezzo mondo a incasellarla subito attribuendole la qualifica di “scrittrice dei millennials”, e cioè dei nati tra gli anni Ottanta e i Novanta. È innegabile che questa sia la sua generazione. Nella sua fortuna c’è però qualcosa di più profondo. Sally Rooney non è solo la voce di questa generazione, i ventenni e trentenni d’oggi, perché tratta i temi ad essa cari e ne esalta le contraddizioni, ma è anche l’unica, nel panorama contemporaneo, a modificarne la percezione che ne hanno gli altri, i più vecchi, chi questa generazione la guarda da fuori.

Per la verità prima non esisteva una vera e propria percezione. C’era un punto di vista un po’ generico e approssimativo, zeppo di condiscendenza e rimproveri. È vero che guardare ai ventenni e trentenni d’oggi non è facile, perché tutto nel loro mondo appare molto incompleto e sfuggente, ma Sally Rooney invece è riuscita a farlo, tanto da rappresentare, appunto, il momento di separazione tra un prima e un dopo nel modo di descrivere e interpretare i millennials.

A prima vista può sembrare un paradosso. In Persone normali (2018, Vulcano ne ha parlato qui) non è presente molta tecnologia, e lo strumento più utilizzato dai due protagonisti per comunicare sono le e-mail. Questa è in realtà una grande intuizione: dimostra perfettamente che scrivere del contemporaneo non significa — o non significa solo — mettere al centro Facebook e Whatsapp, ma semmai raffigurare la rete di relazioni, anche virtuali, nella quale ci troviamo. Al centro restano le persone. Il primo a farlo, magistralmente, fu Roberto Bolaño vent’anni fa, prima in Detective selvaggi (1996) e poi nel monumentale 2666 (2007). La rete sono le persone, il loro modo di muoversi e di interagire, le conoscenze fisiche che instaurano. È questo il grande cambiamento portato da internet che i personaggi di Rooney sembrano aver in gran parte metabolizzato: al fianco del mondo virtuale si è rafforzato un mondo reale ricco di sensazioni fisiche, per quanto incerto, rarefatto e complicato da trovare. È difficile e doloroso per Connel e Marianne, i due protagonisti di Persone normali, comprendere la relazione che stanno vivendo. Il fatto di provarci è l’essenza stessa del libro.

Alla fine la ricerca può essere vana. Rooney infatti tratteggia persone incomplete, irrealizzate, e le conduce nel percorso di presa d’atto e accettazione di questa incompiutezza.

È questa la ricerca della normalità che dà il titolo al secondo libro di Rooney. La normalità significa accettazione altrui, ma anche raggiungimento di una posizione di comfort, nella quale si comprende perché le cose accadono e si possono facilmente accettare. È un’utopia, perché una normalità così netta non esiste. La vera normalità è la loro condizione incerta, quella che loro percepiscono come stranezza, che li lascia sospesi nel vuoto. Le conversazioni tra i personaggi di Persone normali sono l’esempio perfetto di questa poetica. Sembrano, letteralmente, conversazioni nel vuoto. Si tratta di dialoghi interrotti, frasi monche e imbarazzate, discorsi che prendono un’altra strada. Di solito chi parla non guarda l’interlocutore ma fissa un punto della stanza o dell’orizzonte. La stessa autrice ha ammesso, in un’intervista a Rivista Studio di aprile, nella quale parlava del precedente romanzo Parlarne tra amici (2017), di riservare grande importanza alla conversazione:

Scrivere il libro è stato un esercizio nella scoperta di quanto le conversazioni possano essere complicate. Mi sono spesso trovata a seguire il filo di quello che sembrava, in superficie, un semplice scambio tra due o tre personaggi e scoprire che diventava qualcos’altro, un conflitto velato, un’obliqua confessione di sentimenti. Mi interessa moltissimo questo processo. Più che la psicologia mi interessano le dinamiche: come le persone si relazionano l’una all’altra, cosa significano le relazioni.

Attraverso i dialoghi Rooney trasmette vividamente il disagio dei suoi protagonisti. Il libro, infatti, è pieno di dolore, smarrimento e solitudine. Mettendo al centro una relazione, com’è quella tra Connel e Marianne, e seguendola nell’arco di quattro anni, Rooney non può evitare che questo accada.

I dialoghi sono anche uno strumento attraverso il quale Rooney evidenzia le dinamiche di potere e supremazia che si instaurano tra le persone. Non indulge mai, in Persone normali, in forme di pietismo o addolcimento. C’è tutta la prepotenza e talvolta la violenza che possono abitare alcuni ambienti. A tratti ricorda l’Alberto Moravia de Gli indifferenti (1929), dove la violenza può irrompere all’improvviso e modificare il corso delle cose. Infatti il racconto abbraccia condizioni di vita e benessere tra loro differenti: convivono, si intersecano, ma non si fondono mai.

Un altro grande merito di Sally Rooney è infliggere un duro colpo alla centralità americana nella letteratura contemporanea. Rooney è invece una scrittrice fortemente europea, per il contesto e l’atmosfera che descrive e per le trame non così lineari che racconta. Il suo approccio, nelle interviste e negli interventi sui giornali è fortemente politico. A D di Repubblica si è definita marxista, e in quanto tale «scettica sull’industria editoriale, primo perché è un’industria, secondo perché, se i prodotti creano un profitto, allora non stanno facendo il lavoro che dovrebbero fare: cambiare la struttura delle relazioni sociali. È una situazione paradossale che mi mette a disagio ma da cui non si può scappare». Nei suoi libri al centro ci sono però i sentimenti delle persone, non la politica. In qualche modo emerge la connessione che intercorre tra questi due aspetti, anche all’insaputa degli esseri umani.

Mentre narra i sentimenti e le metamorfosi personali dei protagonisti, infatti, Rooney descrive una generazione informata e impegnata. I suoi personaggi, per esempio, si alzano la mattina e scorrono sul portatile le notizie dal Medio Oriente. Sono la punta di diamante di un’epoca in cui questo approccio alla realtà non solo è possibile, soprattutto per i giovani, ma è spesso realizzato.

Il The Guardian ha colto la questione e l’ha proposta all’autrice:

Her characters drift in and out of relationships and talk earnestly of politics and literary theory; they holiday in France or Italy but sometimes don’t have enough money to eat. But Rooney is quick to brush away any suggestion that she is a cultural pundit, saying: “I certainly never intended to speak for anyone other than myself. Even myself I find it difficult to speak for. My books may well fail as artistic endeavours but I don’t want them to fail for failing to speak for a generation for which I never intended to speak in the first place.

Non pretende di parlare espressamente a una generazione ma la descrive magistralmente, meglio di chiunque altro. È questo il punto di forza di Sally Rooney.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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