Del: 21 Novembre 2019 Di: Laura Colombi Commenti: 0

23 6451 è l’album d’esordio di tha Supreme, rapper e produttore classe 2001.

Fuori lo scorso 15 novembre, è stato il secondo album più ascoltato di sempre su Spotify a 24 ore dal rilascio e tuttora le sue 20 tracce occupano i primi posti nella classifica italiana della piattaforma. Un vero e proprio successo, che rimane però incomprensibile ai più.

«Il primo effetto tangibile che ha l’ascolto dell’album di tha Supreme sui maggiori di vent’anni, tipo me, è di renderti tragicamente consapevole della tua età. Percepisci subito che c’è qualcosa di innovativo e dirompente nel suo modo caotico e iperbolico di snocciolare versi disordinati su beat caleidoscopici. Ma sai già che buona parte di quelle canzoni non riuscirai a capirle, perché non parlano né di te, né a te. In un attimo ti ritrovi a pensare “Sono troppo vecchio/a per queste cose”. E in fondo è questo il bello.» scrive Marta Blumi Tripodi su Rolling Stones Italia. 

In effetti i testi di Le basi (23 6451 in linguaggio Leet) possono risultare ostici a chi non conosca il linguaggio giovanile, che tra l’altro si infoltisce di anglicismi: Sei freddo come un ice bucket challenge (fuck 3x, ib.).

Ma soprattutto – e qui la giornalista centra il punto della questione – una musica per ragazzi e fatta da ragazzi rappresenta le emozioni, le storie, in una parola il mondo dei giovani di oggi.

Anzi, dei giovanissimi, dal momento che nella maggior parte dei casi stiamo parlando di ragazzi dai 12 ai 20 anni. Così, per chi proprio così giovane non lo è più, alcune strofe appaiono impossibili da decifrare: Se non fosse che sei un po’ fake, troppo fake/ Troppo flame, me ne andrei, frate’, fossi in te/ Io farei solo Gucci gang, Fendi flex, every-everyday (blun7 a Swishland, ib.). Per fortuna c’è genius.com (https://genius.com/ ) che, oltre a raccogliere moltissimi testi anche dall’hip hop, fornisce spesso delle utili spiegazioni ai passaggi più oscuri. 

Da parte dei non addetti ai lavori si riscontra una certa resistenza all’ascolto di brani in cui le tematiche principali sono quelle classiche dell’adolescenza, come il senso di inadeguatezza e di diversità rispetto alla società, gli amici e gli amori, la scuola, il rapporto con le droghe.

Tracce spesso sentite come vuote, superficiali e perfino diseducative. Si finisce così per dimenticare che queste canzoni ci forniscono un’inedita chiave di accesso all’interiorità dei nostri ragazzi, il più delle volte tutt’altro che superficiali e disimpegnati (anche se sono innegabili certe tendenze alla misoginia e a una “cultura della droga”, contenuti quasi “codificati” dal genere).  In fondo le barre nascono anche dall’esigenza di dire qualcosa di più rispetto agli schemi della canzone pop: possono essere considerate uno sfogo, una richiesta d’attenzione o anche semplicemente un modo di esprimersi. Per questo il moltiplicarsi di giovani autori dice molto sull’esigenza di comunicazione che questa giovane generazione sente profondamente. 

Questo discorso, l’abbiamo capito, si può estendere a buona parte della scena rap italiana. Una realtà che non è più possibile ignorare, tanto che da qualche tempo ne hanno preso atto anche le major (le principali case discografiche) scommettendo su alcuni talenti con una buona fan base. La speranza è che se ne accorgano anche i genitori e, non sarebbe male, i professori. Indossate gli auricolari dei vostri figli per pochi minuti e comprenderete molto di più di quanto non avreste fatto attraverso il dialogo.

Laura Colombi
Mi pongo domande e diffondo le mie idee attraverso la scrittura e la musica, che sono le mie passioni.

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