Del: 26 Novembre 2019 Di: Mattia Alfano Commenti: 0

A poco più di un anno di distanza dal rapimento di Silvia Romano, non se ne sente più parlare. Ma per comprendere al meglio la situazione è doveroso partire dal principio e andare con ordine.

Silvia Romano è una ragazza italiana di 24 anni che è stata rapita in Kenya, il 20 novembre 2018, mentre stava svolgendo un’opera di volontariato, presso la cooperativa “Africa Milele”. Il luogo esatto del rapimento è il villaggio keniano di Chakama.

Per intenderci, il villaggio di Chakama rappresenta il nostro stereotipo di posto dimenticato da Dio.  A una settantina di chilometri dal mare e ad un centinaio dalle prime case (di Malindi), Chakama si trova nel bel mezzo della savana africana. Per raggiungerla si può utilizzare  una sola strada sterrata e senza illuminazione che ti conduce verso le “grandi città”. Basti pensare che se su google maps si digita “indicazioni stradali da Chakama a Nairobi” (la capitale keniana) , non si ottiene nessun risultato. E lo stesso vale per qualsiasi altra destinazione, partendo da Chakama.

Tornando a Silvia Romano, quando la notizia della sua scomparsa è arrivata all’attenzione dei media è scoppiato letteralmente un putiferio.

Le reazioni dell’allora governo giallo-verde sono state inizialmente dure e fortemente decise a riportarla, a qualunque modo e qualunque prezzo , in patria. Poi invece, col passare delle settimane, l’attenzione mediatica è scemata e con essa anche l’interesse governativo, tanto che già a dicembre si era praticamente smesso di parlarne.

Ma dov’è ora Silvia Romano?

Le fonti certificate e attendibili non sono molte e la maggior parte di queste sostengono che la studentessa volontaria  si trovi ora nelle mani di jihadisti somali, legati al gruppo terroristico di Al-Shabaab. Al-Shabaab significa letteralmente “Partito dei Giovani” ed è un gruppo terroristico jihadista sunnita di matrice islamista attivo soprattutto in Somalia. Nato intorno al 2006, Al-Shabaab è inoltre identificato come la cellula somala di al-Qāʿida, formalmente riconosciuta nel 2012.

Ad ogni modo, in tutto questo caos di supposizioni, verità non provate, fake news, una domanda sorge spontanea. Che cosa ha fatto e che cosa sta facendo il governo attuale per cercare di risolvere la questione?
Anche in questo caso, ci troviamo di fronte a dei grossi punti di domanda, l’unica certezza che è pervenuta ai media è che il governo ha deciso che l’Italia non pagherà nessun riscatto per Silvia.

Qual è il motivo di tale scelta? E perché, a livello diplomatico e mediatico, sembra che le ricerche siano cessate? Nessuna risposta degna di nota, se non quella del non voler scendere a patti con dei criminali.

Un’importante polemica è venuta fuori quando si è messo a confronto il caso di Silvia Romano con la scomparsa di Giulio Regeni, il dottorando italiano all’università di Cambridge, morto in Egitto tra il gennaio e il febbraio 2016. Oppure ancora quando lo si è confrontato con il caso internazionale dell’Enrica Lexie, conosciuto ai più come “il caso dei due marò”.

In queste due occasioni le varie parti della politica (quelli di sinistra nel primo caso, quelli di destra nel secondo) hanno dimostrato di tentarle tutte pur di scovare il colpevole in Egitto, come di scagionare e liberare i due marinai italiani. È risultato profondamente ingiusto che non sia stato adoperato lo stesso metro di giudizio e la stessa intensità nelle ricerche.

Ad ogni modo, a peggiorare ulteriormente la situazione ci hanno pensato i vari “haters” intervenuti sulla questione. Invece che stringersi tutti attorno alla speranza di ritrovare questa ragazza innocente, parte dell’opinione pubblica si è letteralmente scannata contro Silvia e la sua scelta di fare del volontariato.

L’hanno giudicata  egoista nei confronti del popolo italiano e l’hanno pesantemente criticata per essere andata ad aiutare i “negri” al posto che gli italiani. Hanno inveito contro di lei e la sua famiglia, le hanno detto che se l’è cercata deliberatamente e, infine, hanno sostenuto che l’Italia non dovrebbe “buttare” via i soldi pagando il riscatto di una persona, che si è messa inutilmente in pericolo da sola.

Tralasciando la questione razziale che viene esplicitamente espressa in queste proposizioni, queste frasi sono forti e dure persino da leggere.
Provocano ancor più rabbia se si pensa che spesso queste persone sono le prime ad usare lo slogan facile “aiutiamoli a casa loro”.
Ebbene Silvia lo ha fatto, ci ha provato per lo meno.
Queste inenarrabili frasi, scritte da gente insulsa e codarda, congiunte alla passività delle istituzioni italiane, sono il ringraziamento di un intero paese nei confronti di un’anima buona.

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