Del: 12 Novembre 2019 Di: Fabrizio Maroni Commenti: 0

Era il 1977: usciva nelle sale il primo Star Wars, moriva Elvis e il neoeletto Jimmy Carter concedeva l’amnistia ai disertori del Vietnam. Il 20 agosto dello stesso anno, dalla base NASA di Cape Canaveral, Florida, la sonda spaziale Voyager 2 cominciava un viaggio di cui si ignoravano molte cose; prima fra tutte, la fine.

Dopo averci spedito meravigliose cartoline da Giove, Saturno, Urano e Nettuno, la sonda ha continuato a fluttuare come una zattera alla deriva, diretta verso i confini del sistema solare. Quella sonda è ancora in viaggio. Una serie di articoli pubblicati dai ricercatori dell’università dell’Iowa pochi giorni fa sulla rivista scientifica.

Nature Astronomy ha confermato che il 5 novembre 2018 la Voyager 2 ha oltrepassato l’eliosfera, cioè quella regione del sistema solare che costituisce una sorta di enorme bolla di particelle solari e campi magnetici, entrando nello spazio interstellare.

Solo altre due sonde, prima di lei, hanno valicato questo confine: la Pioneer 10 e la Voyager 1, gemella della 2. La sonda si trova ora a più di 18 miliardi di chilometri da noi e corre verso l’ignoto alla velocità di 15 km al secondo. La Voyager 2 potrà trasmettere ai ricercatori dati preziosissimi, soprattutto perché è l’unica delle tre sonde fuori dall’eliosfera in grado di comunicare con noi in maniera ottimale: l’ultima trasmissione della Pioneer 10 risale infatti al gennaio 2003 e la Voyager 1 ha subito dei danni che le impediscono di mostrarci con precisione ciò che vede.

Grazie alla sua piccola antenna, la Voyager 2 può inviare 160 bit di informazioni al secondo, che percorrono tutti i 18 miliardi di chilometri che la separano dalla Terra, dove un’antenna dal diametro di 70 metri a Canberra intercetta la trasmissione che a noi giunge debolissima, con la potenza di circa -153 dBm. Ma le sonde Voyager portano con loro qualcosa di molto più affascinante e romantico di qualche dato incomprensibile ai più; un tesoro custodito nelle loro viscere metalliche: le Golden Records. Sono due dischi per grammofono in rame, placcati d’oro e dal diametro di 30 centimetri. I dischi contengono qualcosa di straordinario: immagini e suoni rappresentativi del genere umano, consegnati a una sonda spaziale che viaggia verso l’ignoto, come una bottiglia a cui un naufrago ha affidato un messaggio prima di abbandonarla all’oceano.

Sulla superficie del disco è incisa la frase “To the makers of music – all worlds, all times” e sulla custodia sono incise le istruzioni per utilizzarlo. Ci sono immagini della Terra e della Luna con le coordinate per trovarci, disegni stilizzati del sistema solare con proporzioni e distanze, tabelle che spiegano i concetti di base della matematica terrestre e raffigurazioni del DNA; ma anche scatti rappresentativi di vita quotidiana come una madre che allatta il figlio, alcuni umani intenti a mangiare e persino una strada trafficata. Ci sono poi suoni: la pioggia, il vento, un treno, versi di animali. C’è la musica: dai concerti brandeburghesi di Bach alle melodie Mugham dell’Azerbaijan, fino a Johnny B. Goode di Chuck Berry.

Infine, i saluti registrati in 55 lingue: c’è l’amichevole “Come va?” dei coreani, o il più solenne “Saluti a voi, chiunque siate. Veniamo in amicizia a chi ci è amico” dei greci, ma il più simpatico è forse quello registrato in lingua Amoy (Cina sud orientale): “Amici dello spazio, come state? Avete già mangiato? Venite a farci visita se avete tempo.” Gli italiani hanno preferito mantenere una certa sobrietà: “Tanti auguri e saluti” è ciò che impareranno gli alieni nella nostra lingua. Quante sono le possibilità che quelle registrazioni vengano sentite da qualcuno? Pochissime, soprattutto considerando che solo una civiltà avanzata sarebbe in grado di decifrare i dischi d’oro.

Fra 30.000 anni la Voyager 2 abbandonerà definitivamente il sistema solare; ne passeranno poi altri 10.000 prima che si “avvicini” a un’altra stella, Ross248, che la sonda vedrà da 1.7 anni luce. Purtroppo però, la Voyager 2 non potrà raccontarci nulla di tutto ciò: le sue batterie sono infatti destinate a esaurirsi prima del 2030. Da quel momento, la sonda comincerà un viaggio silenzioso e ben più lungo di quello fatto finora; probabilmente sopravvivrà alla nostra specie e al nostro pianeta, portando in grembo la testimonianza di un popolo lontano, estinto in un tempo remoto. E forse, tra un milione o un miliardo di anni, da qualche parte nell’universo qualcuno ascolterà ancora Johnny B. Goode.

Fabrizio Maroni
Studente di Scienze Politiche. Ogni mio sforzo è volto principalmente a non addormentarmi, esprimo pareri che nessuno ha chiesto.

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