Il cinema racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura, ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scultura, alla musica.
Così il grande regista giapponese Akira Kurosawa considerava i tradizionali 24 fotogrammi impressi su pellicola, come la somma di più discipline artistiche. Si può ancora considerare questa affermazione come vera? Dopotutto sono passati più di vent’anni dalla morte di Kurosawa, e il mondo del cinema è tutt’ora in continua evoluzione. Il suo carattere multimediale e il suo forte impatto con il pubblico ha infatti portato il cinema moderno a un bivio: rimanere un’arte, cioè correre anche il rischio di essere incompreso o criticato, o entrare a far parte di quella che è la grande giostra dei mezzi di intrattenimento.
Nelle sale trionfano le grandi produzioni, gli effetti speciali. Tutto viene creato appositamente per piacere al maggior numero di persone, correndo meno rischi possibile a livello economico e puntando al maggiore guadagno. L’arte, nella sua forma più pura (cioè la sua capacità di stupire, di far riflettere, di comunicare) è inutile dal punto di vista economico. Per sopravvivere, deve cambiare la sua natura e scendere a patti con qualcuno che la finanzi, e per questo motivo il cinema deve mantenere vivi i suoi rapporti con la produzione, il marketing e la pubblicità. Purtroppo, in questo modo viene a meno la “magia”, e le immagini che vengono proiettate puntano solo alla performance e sulla qualità audiovisiva.
Il cinema perde un po’ la sua funzione principale, per quanto semplice essa possa essere: trasmettere emozioni e sensazioni ad un pubblico, farlo riflettere unicamente attraverso suoni e immagini.
Oggi se si va al cinema la maggior parte delle volte è per stare in compagnia e inebriarsi di luci, suoni e odore di pop-corn. La pubblicità regna sovrana e tutto è creato apposta per farci spendere il più possibile.
Martin Scorsese, considerato uno dei più grandi registi viventi, il 4 novembre ha pubblicato una lettera al New York times dove spiega il suo punto di vista sui film di oggi. Con un commento crudo e malinconico sostiene che non c’è più rivelazione, non c’è più mistero e non c’è più pericolo emotivo. Scorsese prende come esempio i film della Marvel, dicendo che sono «basati su ricerche di mercato, testati sugli spettatori, esaminati, modificati, riesaminati e di nuovo modificati finché non sono pronti per il consumo», una costante eliminazione del rischio. Il cinema che il regista americano ama è estetica, emozione e spiritualità. Esseri umani che vogliono trasmettere emozioni ed esperienze ad altri esseri umani, e i film della Marvel hanno poco a che fare con questo, per quanto si possano lodare gli attori o gli effetti speciali.
Oggi il cinema indipendente è ai minimi livelli, non ha il potenziale di vendita di una grande produzione, e non viene neanche proiettato nelle sale. Le produzioni indipendenti sono qualcosa di molto potente a livello artistico, intimo e profondo, che poco si adatta con gli standard di oggi.
Questa continua perdita dal punto di vista artistico è anche dovuta al fatto che quando si ha un prodotto un po’ fuori dagli schemi questo non viene apprezzato, non perché la nostra generazione sia poco sensibile, ma perché questo tipo di cinema non viene neanche distribuito.
Ormai il pubblico è abituato a un certo tipo do prodotto, un film che fa divertire o stupire grazie agli effetti speciali, ma che non lascia niente non appena ci si alza dalla poltrona.
Articolo di Maryna Nimets