
Da Piazza della Scala al profilo Instagram di Fridays For Future, il nuovo edificio del campus Bassini del Politecnico di Milano è proprio sulla bocca di tutti.
Proteste, presidi e raccolte firme si alternano in questi giorni concitati per studenti e docenti della rinomata istituzione meneghina, la quale si accinge a proseguire i lavori di riqualifica e ampliamento del proprio polo in zona Città Studi, secondo quanto previsto dal progetto “Renzo Piano”.
Progetto che nella particolare zona di via Bassini prevede lo smantellamento di un’importante area verde, con l’abbattimento di un centinaio di alberi, presenti da mezzo secolo nel parco, per la costruzione di un nuovo e imponente edificio adibito a sede del dipartimento di Ingegneria Chimica.
La questione sta creando tanta discussione nell’ambiente del Politecnico e non solo: nei primi giorni di dicembre la vicenda ha interessato particolarmente anche il Comune e la Regione Lombardia, che si sono ritrovati in mezzo a mille voci, alcune favorevoli, altre contrarie, ma per la gran parte scarsamente informate.
Per chi non fosse ancora venuto a conoscenza di queste vicende, o volesse saperne di più, abbiamo intervistato la professoressa Arianna Azzellino, attualmente docente di Valutazione dell’Impatto Ambientale proprio nell’Ateneo, protagonista di questa nebulosa situazione, nonché parte attiva della protesta.
[L’intervista è stata editata per brevità e chiarezza]
Cosa prevede il progetto e perché ha scatenato queste proteste?
La storia parte da lontano. È un progetto che, peraltro, ha subito modifiche nel corso del tempo. La necessità di costruire un nuovo polo di Chimica per il Politecnico nasce all’ incirca alla fine dell’anno 2013, quando era rettore il professor Azzone che ha sempre ritenuto come alternativa “preferibile” costruire il nuovo edificio al posto dell’attuale edificio “Enrico Fermi” di Ingegneria Nucleare (CeSNEF). Già all’epoca c’era una seconda alternativa legata alla possibilità di non poter utilizzare quest’area poiché la stessa doveva subire un processo di decommissioning (lo smantellamento del reattore, che oggi ha ancora delle strutture da rimuovere), processo delicato e con tempistiche non determinate. Il professor Azzone quindi ha previsto un edificio che, almeno in parte, occupasse la zona del Bassini. A ricoprire il ruolo dopo di lui è l’attuale rettore Resta, il quale durante la campagna per l’incarico rimarcò la sua volontà di costruire sull’ex CeSNEF, ma si è reso in seguito conto che le tempistiche sarebbero state molto lunghe. Nel 2018 (anche se effettivamente il periodo non è ben definibile) cambia anche il progetto sul Bassini: verrà costruito un edificio che distruggerà totalmente il parco. Questa notizia viene comunicata in maniera parziale al personale d’Ateneo, senza chiarimenti su dettagli e tempistiche. Il caso si scatena solo a fine ottobre, quando il personale riceve la notizia: non sarà più possibile parcheggiare davanti all’edificio 21 (Via Bassini), per la presenza di un cantiere. La notizia ha lasciato tutti di sasso: quasi nessuno sapeva cosa sarebbe successo di lì a breve.
Come è stato possibile? Non c’è stato un procedimento di approvazione e di valutazione dell’impatto ambientale?
Essendo un edificio pubblico non rientra nelle tipologie che devono subire la valutazione di impatto ambientale a norma di legge. In più l’attivazione di questa attività di progettazione è stata fatta nell’ambito dell’Intesa Stato-Regione, la quale permette di “semplificare” il procedimento per opere strategiche, e in questa maniera si possono evitare dei passaggi, come avere la presenza del Municipio (nel caso del Politecnico il Municipio 3) in sede di approvazione del progetto. In questa situazione il Comune non ha vigilato a sufficienza su quanto stava avvenendo e, nell’ambito della Conferenza dei Servizi tenutasi la scorsa estate per la valutazione del progetto definitivo, pur avendo l’area Edilizia pubblica del Comune segnalato che sarebbe stato opportuno richiedere il parere dell’Area Verde Urbano, il responsabile del procedimento per il Comune ha deciso che questo passaggio non fosse necessario: l’area del Campus Bassini ricade all’interno di aree destinate al Politecnico stesso, negando così di fatto la possibilità di una valutazione ambientale dell’opera. Da questi temi è nata la protesta da parte di chi è stato estromesso dal processo decisionale e non ha visto riconoscere il valore di un’area parco presente da più di 70 anni, solo perché non considerata area pubblica. Vorrei sottolineare a questo proposito che il Politecnico è un’istituzione pubblica e che l’area di cui si parla non è chiusa, ma invece è fruibile anche da persone esterne.
Come mai quest’area verde è così importante? Nel progetto è previsto che siano piantati nuovi alberi per rimediare all’abbattimento di quelli presenti in via Bassini. Anche personalità in vista sul tema ambientale hanno definito “accettabile” questo progetto, perché secondo lei invece non lo è?
Perché va a consumare il suolo naturale di una delle poche aree rimaste in zona Città Studi. Questo è l’impatto più importante, gli alberi sono solo una parte di questo ecosistema verde. Questo consumo avviene per ogni nuova infrastruttura, e ciò costituisce una delle emergenze ambientali dei nostri giorni, ma quando si va a consumarne in maniera così importante andrebbe ricostruita la stessa quantità di suolo attraverso il progetto che si va a realizzare. Nel caso del Politecnico questo probabilmente non avverrà, o almeno non in tempi brevi visto che il nuovo parco è previsto nell’area CeSNEF, dove è ancora in corso il decommissioning.
Perché c’è questa incertezza riguardo alla realizzazione? Quello del parco non è un progetto già approvato?
Questo è un progetto definitivo, non un progetto esecutivo e il rettore, che ora si preoccupa dei 57 alberi della zona dell’edificio, rimanda il problema degli altri 70 alberi di cui è previsto l’abbattimento per realizzare la costruzione del parco del CeSNEF, ma così come è stato per il polo di Chimica, rimandato e modificato nel tempo, la stessa sorte potrebbe subirla questo progetto.
Secondo lei parte di questa problematica è collegabile a una scarsa informazione? Se studenti e docenti fossero stati informati a dovere si sarebbe potuto intervenire prima? Il Politecnico ha le sue colpe nel processo informativo?
Secondo me le ha. Anche se il rettore lo nega, l’Ateneo e il Senato hanno spiegato di non poter accogliere le richieste interne dei docenti di rivalutazione del progetto e valutazione degli impatti, dicendo che il progetto è ormai avviato. Se ci fosse stato il tempo di fare i nostri interventi prima, la discussione avrebbe potuto instaurarsi.
Il progetto è stato presentato e approvato da rappresentanti degli studenti e dei docenti, quindi qualcuno era informato. Perché non c’è stato un intervento?
Il progetto approvato era molto generale e riguardava l’intero campus Leonardo, e l’aspetto dell’edificio di Chimica era presente solamente in una mappa, senza dettagli e spiegazioni su quanto effettivamente esso avrebbe comportato, specialmente dal punto di vista ambientale.
Tornando alle proteste nello specifico, quali sono gli obiettivi che vi ponete?
L’obiettivo, come abbiamo sempre fatto, è di mostrare il “cattivo esempio”: la cosa più grave dell’intera vicenda è che a fare questi “misfatti” ambientali è il Politecnico di Milano, l’università che forma paesaggisti, urbanisti, progettisti…
A giustificare l’intervento è stata un’idea di innovazione, a questo punto la si può definire tale?
Nel progetto che ho visto non c’è nulla di innovativo: al giorno d’oggi tutto il mondo costruisce intorno agli alberi, minimizza il consumo di suolo e compie valutazioni ambientali contestuali alla progettazione, in modo da ridurre gli impatti. Il Politecnico non l’ha fatto, compiendo una valutazione a posteriori, a progetto già definito. Questo però è un modo di procedere non in linea con quanto richiesto oggi e mi stupisce che a metterlo in pratica sia un’istituzione autorevole come il Politecnico di Milano.
Quella che sta coinvolgendo il Politecnico a questo punto sembra essere una vicenda complessa in cui si intrecciano disinformazione e scarsa cura dell’ambiente. Al momento sono previsti nuovi incontri di protesta tra studenti e docenti per salvaguardare quel verde che resta a Città Studi.
Verde che non è solo dell’Ateneo, ma appartiene a tutti.
Articolo di Martina Di Paolantonio.