Del: 19 Dicembre 2019 Di: Riccardo Sozzi Commenti: 0

Mentre il mondo della sinistra si dispera per il trionfale successo di Boris Johnson e della Brexit con lui, dall’altra parte dell’isola britannica si festeggia: Nicola Sturgeon ora “vede” l’indipendenza e l’Europa.

Poche ore dopo l’annuncio della straripante vittoria dei Tories, tra chi sbatteva la testa contro un muro chiedendosi come mai un’elezione — sulla carta indecisa — aveva finito per lasciare la sinistra Labour con un pugno di mosche in mano, e chi diceva a gran voce che era tutta colpa di “quel Corbyn lì”, a Edimburgo il telefono di Nicola Sturgeon squillava nervosamente. All’altro capo del telefono niente di meno che lui, Boris Johnson, Primo Ministro del Regno Unito e fresco vincitore di una elezione destinata a far discutere. 

Non è certo difficile immaginare il dialogo: “Non chiedete un referendum per l’indipendenza”, “Non ci penso nemmeno, gli scozzesi hanno vinto e ora decidiamo noi”

Ça va sans dire che non sappiamo se è questo che realmente si sono detti i due leader, ma ci viene facile immaginare che, se non altro, il contenuto fosse questo. Per di più diverse fonti hanno riportato una conversazione dai toni comunque accesi, e non troppo lontano nei contenuti da quanto da noi immaginato. 

Il messaggio è quindi chiaro: se la Scozia e la maggioranza dei suoi cittadini vogliono rimanere nell’Unione Europea e a Westminter non ci ascoltano, tanto vale che ce ne andiamo.

Il ricorso al referendum potrebbe a questo punto apparire scontato, ma non è esattamente così.

Se infatti è vero che la Sturgeon può solo trarre spunti positivi dai ben 48 seggi ottenuti in Parlamento (ben 13 in più rispetto al 2017), va detto che il processo referendario non può essere politicamente varato come se nulla fosse. Certo, la richiesta ufficiale al Parlamento britannico è in realtà arrivata già mesi fa e il risultato delle elezioni degli scorsi giorni può solo incoraggiare la Sturgeon a premere sull’acceleratore, ma il controllo politico del SNP, Scottish National Party, non è esattamente così saldo.

Di fatti, pur essendo in netta minoranza in Scozia, Johnson potrebbe non essere solo in questa battaglia: sapendo di non godere di particolare simpatia dalle parti di Edimburgo, Boris sembra si sia presto dato da fare per riallacciare i rapporti con l’unico membro dei Tory cui gli scozzesi rivolgono un sorriso, Ruth Davidson

Da diversi anni membro del Partito Conservatore Scozzese, Davidson si è sempre dichiarata a sfavore della Brexit (specie se hard), al punto da rassegnare le dimissioni dalla guida del Partito proprio per le divergenze accorse con Boris Johnson. Tornare ad avere un dialogo con la leader conservatrice sembrerebbe quindi essere l’unica strada percorribile per il Primo Ministro, per rinsaldare il labile legame che ora tiene insieme il Regno Unito, ed è una prospettiva che spaventa lo SNP, che teme di ricadere nel fallimento del 2014. 

La richiesta scozzese dovrà in ogni caso attendere ancora un po’ di tempo prima di poter ricevere una risposta, e questa è, di fatto, un’arma a doppio taglio per Nicola Sturgeon.

Concedendo tempo rischia infatti di perdere quegli scozzesi che ora si aspettano una mossa coraggiosa di fronte ad un governo britannico che gli ha ormai voltato le spalle, ma bruciando le tappe rischia altresì di cadere nell’impulsività, finendo col perdere il favore di quei moderati che gradirebbero mantenere comunque un dialogo con Londra.

Di fatto è importante non cadere nella “trappola catalana”, mantenendo comunque una linea di legalità tale da non incorrere nella medesima dura repressione (che Sturgeon ha per altro condannato più volte) da parte del governo centrale. D’altra parte la stessa leader ha tenuto a precisare come sia sua ferma intenzione agire nel pieno rispetto delle istituzioni vigenti, attendendo quindi il necessario via libera del Parlamento britannico. 

Oltretutto è importante tenere ben presente lo scotto del referendum del 2014. Quest’ultimo infatti è ritornato in auge proprio nelle ultime ore, sia come testimone di un chiaro limite sociale ma anche politico. Michael Gove, leader Tory nonché avversario interno di Johnson per la guida dei conservatori, ha infatti dichiarato: “Avevano detto nel 2014 che quello era il voto per una generazione, non ci sarà un altro referendum sull’indipendenza della Scozia”. Una chiusura che per ora è solamente sulla carta e vale almeno quanto le affermazioni della Sturgeon, ma che dà già un’idea di quali siano i toni coi quali entrambi gli schieramenti si apprestano a discutere nelle prossime settimane. 

Intanto sul quadro europeo si va disegnando un sorriso: l’indipendenza scozzese infatti ridarebbe quantomeno fiato agli europeisti, ben più che contenti di accogliere il neo-Stato scozzese (anche se c’è già chi a sinistra griderebbe alla vittoria di Pirro). Ma sorriderebbe appunto anche la Catalogna, per la quale l’indipendenza scozzese rappresenterebbe un caso pratico con cui perorare la propria causa non solo a Madrid, ma anche in Europa, le cui istituzioni sono state criticate anche dalla Sturgeon per la passività con cui hanno osservato la questione Catalana. 

Riccardo Sozzi
Da buon scienziato politico mi faccio sempre tante domande, troppe forse. Scrivo di tutto e di più, perché ogni storia merita di essere raccontata. γνῶθι σαυτόν

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