Ecco che siamo giunti alla conclusione di un decennio: ricco di novità e stravolgimenti, da un punto di vista culturale, sociale e politico, e a livello nazionale e globale.
Non è stato un lavoro facile, ma Noi della redazione di Vulcano Statale abbiamo provato a tirare le fila, stilando delle classifiche di ciò che di “vulcanico” ha segnato questi primi dieci anni del nuovo millennio.
A cura di Valentina Testa, con la collaborazione di Matteo Lo Presti, Andrea Marcianò e Francesca Rubini.
Con la fine del decennio, si tirano le somme, si fanno bilanci e si stilano classifiche: anche delle serie tv più belle. Come criterio, abbiamo scelto le serie iniziate dal 2010 in avanti, e non solo quelle che si sono sviluppate negli ultimi dieci anni. Anche perché, se così fosse stato, la lista da cui scegliere si sarebbe allungata a dismisura!
10. La casa de papel (Spagna, 2017 – oggi, Antena 3, Netflix)
In fondo alla classifica, vero, ma sicuramente uno dei più grossi fenomeni di massa degli ultimi anni. La casa de papel ha sconvolto tutto il mondo da quando è stata distribuita da Netflix: le città si sono riempite di maschere di Dalì, Halloween e Carnevale sono stati dominati dalle tute rosse… a dimostrazione di quanto si sia completamente intessuta nel corpo sociale c’è il remix di Steve Aoki di Bella Ciao. Per quanto non sia una serie di alto livello, con la sua storia avvincente, le sue puntate adrenaliniche e i suoi personaggi carismatici La casa di carta è sicuramente una delle produzioni più pop e più apprezzate dal pubblico degli anni ‘10.
9. Gomorra – La serie (Italia, 2014 – oggi, Sky)
Spazio all’Italia in classifica, e chi meglio può portare la nostra bandiera se non Gomorra? Con le sue quattro stagioni, la produzione tricolore è arrivata anche oltreoceano, dove non ha collezionato altro che complimenti (e ora, con L’Immortale di Marco d’Amore è anche arrivata sul grande schermo). Tratta dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, Gomorra racconta la camorra cercando il più possibile di fuggire lo sguardo romanzato e sentimentale delle produzioni americane che trattano di mafia. Ogni nuova stagione è un evento, ogni tagline diventa iconica: tutti sanno a chi e a cosa si fa riferimento, quando gli si dice “Sta’ senza penzier”.
8. Peaky Blinders (UK, 2013 – oggi, BBC)
Se si parla delle più belle serie degli anni ‘10, non si può certo dimenticare la produzione inglese di Steven Knight: ambientata nella prima metà del ‘900, Peaky Blinders narra le vicende della scalata al successo della famiglia Shelby a Birmingham. Come non emozionarsi davanti all’incredibile genialità e seducente spirito di Tommy Shelby (il bravissimo Cillian Murphy)? Come si fa a non rimanere coinvolti dall’ambientazione dell’Inghilterra postbellica, così struggente, così carica di tragedia, un mondo rigido, sciolto solo dal caldo amore della misteriosa Grace (Annabelle Wallis)? Un’opera, avvolgente con la sua fotografia e influente per la sua regia, ci immerge a pieno nella fitta rete di trame che investono la vita di Birmingham. Pochi sono i premi per questa serie, poco è il riconoscimento dalla critica, ma tanto è il successo di pubblico; saranno in molti a ricordare il decennio appena trascorso come l’epoca dei “Peaky fu**ing Blinders”.
(Andrea Marcianò)
7. The Handmaid’s Tale (USA, 2017 – oggi, Hulu)
The Handmaid’s Tale è la serie tratta dall’omonimo romanzo di successo di Margaret Atwood uscito nel 1985 e che oltre trent’anni dopo risulta (purtroppo) ancora attuale: un mondo distopico in cui le donne sono state totalmente private dei loro diritti da una società teocratica. La serie è andata a inserirsi in un contesto in cui movimenti come #metoo in America o #nonunadimeno in Italia stanno cercando di far sentire la loro voce, la voce di tutte le donne. In un mondo in cui il Presidente di uno dei paesi più potenti al mondo come gli Stati Uniti dice ancora frasi come «prenderle per la figa», un mondo in cui è ancora possibile che si decida di cancellare il diritto costituzionale all’aborto. The Handmaid’s Tale vuole mostrarci cosa succederebbe se le idee ultraconservatrici che circolano ancora oggi riuscissero a prendere piede nella società odierna. E vale la pena guardarlo non di meno anche per la magistrale interpretazione di Elisabeth Moss nel ruolo di Offred, l’ancella.
(Francesca Rubini)
6. The Crown (UK-USA, 2016 – oggi, Netflix)
La serie che racconta la vita della regina Elisabetta II d’Inghilterra, fatta con il beneplacito della casa reale, è una delle migliori produzioni di Netflix degli ultimi anni. L’accuratezza storica è sempre rispettata, le scelte di regia fanno tuffare nel mondo rigoroso della famiglia reale, il lavoro degli attori è degno di tutti gli onori. Il compito di indossare la corona sulla schermo è stato di Claire Foy, che ha interpretato Elisabetta nei suoi primi anni di regno; nel momento in cui l’età avanzava, invece che decidere di lavorare con il trucco, la produzione ha scelto di fare un re-cast dei protagonisti, e la corona si è dunque spostata sul capo del premio Oscar Olivia Colman. Le due – ma il discorso vale per tutti – hanno portato sullo schermo un personaggio a tutto tondo, reso in modo così perfetto da dare l’impressione di star guardando delle foto storiche, e non una ricostruzione seriale.
5. Black Mirror (UK, 2011 – oggi, Netflix)
Come parlare di anni ‘10 senza parlare di Black Mirror? La serie distopica antologica che scuote chiunque si trovi a guardare un episodio, Black Mirror è stata anche usata da Netflix per lanciare il suo primo film interattivo, Bandersnatch, che ha portato un po’ di Black Mirror nella realtà. C’è da dire che con gli anni c’è stato un visibile calo di qualità, e quindi anche se i contenuti sono sempre presenti, con le ultime stagioni c’è sempre qualcosa da ridire. Ciò non toglie che chiunque abbia visto almeno una volta nella vita Shut up and dance, la terza puntata della terza stagione, è stato profondamente segnato e ha sicuramente deciso di nascondere la videocamera integrata nel suo computer.
4. Stranger Things (USA, 2016 – oggi, Netflix)
La serie che ha segnato il periodo del revival degli anni ‘80, Stranger Things ha avuto un immediato successo in tutto il mondo. Nonostante quello che da molti è stato considerato un azzardo, cioè avere di bambini come protagonisti, i giovani attori e attrici hanno subito dimostrato di saperci fare alla perfezione, di essere alla pari dei loro colleghi adulti. La scomparsa di Will e il demogorgone sono fatti conosciuti più o meno da tutti, che abbiano visto o meno un episodio della serie: sicuramente, a tre anni dall’uscita della prima stagione, quando arriva Natale immancabilmente c’è qualcuno che prende le luci in mano e ci gioca simulando Joyce che comunica con il figlio bloccato nel Sottosopra.
3. BoJack Horseman (USA, 2014 – oggi, Netflix)
Il cavallo depresso e alcolista più amato di Netflix ha dato una svolta epocale alla concezione passata sulle serie animate. Focalizzata sulla soffocante e frenetica vita di Hollywood, contornata da una schiera di personaggi “malati” in cui nessuno si salva, BoJack Horseman ha dimostrato che, nonostante le montagne di soldi, sesso facile e nuove possibilità di carriera, la vita di una celebrità sa soprattutto essere un coacervo di contraddizioni e negatività imperante; il tutto narrato tramite eventi inusuali e talvolta demenziali. La serie incontrerà la sua conclusione il 31 gennaio 2020, con la pubblicazione della seconda parte della sesta stagione, mettendo purtroppo la parola fine a una delle serie più introspettive e psicologicamente ricche di contenuti dell’ultimo decennio.
(Matteo Lo Presti)
2. Game of Thrones (USA, 2011 – 2019, HBO)
Quale serie più di Game of Thrones ha segnato il decennio? Nessuna. GoT è stato il più grande fenomeno pop e mondiale di quest’epoca. Tutti sanno di cosa si parla quando si dice Trono di Spade, tutti hanno visto almeno una volta il volto di uno degli attori, nessuno mai dimenticherà l’iconico motto di casa Stark, “Winter is coming”: è quasi simbolico il fatto che sia finita proprio al chiudersi delle porte degli anni ‘10. Addirittura, quando fu mandato in onda l’ultimo episodio della serie, anche persone che non avevano mai visto un episodio del Trono in vita loro volevano sapere chi alla fine si fosse seduto sull’ambita sedia.
L’unico motivo per cui Game of Thrones non merita il primo posto in questa classifica è che l’essere diventata un fenomeno globale ha dato a produttori e sceneggiatori la sicurezza di un pubblico affezionato, portandoli a preoccuparsi sempre meno della qualità dello show, che, con il passare delle stagioni, è andata sempre più precipitando. L’ultima stagione del Trono di Spade, per quanto anche questa sia stata un evento globale che andava oltre la semplice messa in onda della puntata settimanale, è stata in realtà al tempo stesso il più grande flop del decennio.
1. Fleabag (UK, 2016 – 2019, BBC e Amazon)
La migliore serie tv degli anni ‘10 è Fleabag. Scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge, adattata per il piccolo schermo a partire da un testo teatrale scritto per l’Edinburgh Festival Fringe nel 2013, è tutto ciò che vorremmo vedere in una serie tv e la rappresentazione perfetta di chi siamo noi oggi.
Una trentenne londinese, che mostra con lucida schiettezza tutte le sue sfaccettature e le sue complicazioni, ci porta nella sua quotidianità. La fluidità della narrazione porta a considerare più in generale la stagione nel suo complesso, e non tanto i singoli episodi, che pure si soffermano su un singolo tema – insomma, è l’apoteosi del binge-watching.
Fleabag decide di andare anche là dove pochissimi vanno, rompendo in continuazione la quarta parete: non, però, per destabilizzare il pubblico o per rompere l’illusione del racconto. Al contrario, per coinvolgerlo ancora di più, mostrando a chi è seduto sul divano il lato di più vero e autentico della protagonista.
L’unico che riuscirà a toccare l’intimità di Fleabag è il Prete (Andrew Scott), che nella seconda stagione scalfirà la corazza che lei ha costruito intorno a sé.
Ed è proprio la seconda stagione, in realtà, ad essere la vera serie tv del decennio, la perfetta figlia dei nostri tempi. Fleabag incontra la religione e tratta del rapporto che la nostra società ha con la tradizione cattolica e con i suoi tabù, primo fra tutti il sesso. I dialoghi ammalianti, genuini e spontanei di Phoebe Waller-Bridge ci parlano di amore, matrimonio, rapporti interpersonali, morte, vita effimera. Il simbolismo della scrittura è così fine da dare un valore aggiunto a chi lo coglie, ma da non essere essenziale alla comprensione del messaggio generale, che pure si manifesta in modo diverso nei vari riceventi: com’è naturale che sia, d’altro canto, ognuno in Fleabag legge un po’ della propria vita.
Insomma, it’s Phoebe Waller-Bridge’s world and we’re just living in it.