Del: 18 Dicembre 2019 Di: Redazione Commenti: 0

Il tentativo di questa rubrica è quello di essere utile per chiunque riconoscesse in sè o in qualcuno di vicino una forma di malessere. La sensibilizzazione è importante nel momento della comprensione e dell’azione, in quanto spinge alle opportune cure mirate.

La traduzione di «disorder» nella forma italiana di «disturbo» non rende a pieno quella che è la dimensione della devastante portata di una patologia mentale. La parola «disturbo» indica uno stato di fastidio, pruriginositá e insofferenza nei confronti di uno stato emotivo interiore. Ma non viene reso a pieno quell’aspetto lancinante che la malattia mentale comporta. Se traducessimo la parola «disorder» con «disordine» avremmo più possibilità di comprendere uno stato di confusione ed instabilità pervasiva della condizione umana patologicamente condizionata. 

Un’ulteriore riflessione sulla natura della malattia mentale nasce proprio dal fatto che questa venga o romanticizzata o demonizzata per la maggior parte delle volte. In una forma romanticizzata, il disturbo mentale viene percepito come un bisogno personalistico di unicità. In una forma demonizzata, la patologia psichica è tutto ciò che devia dalla costituita normalità. 

Le avvertenza importanti sono le seguenti: se vige il sospetto di un disordine mentale, rivolgersi a un medico curante. Occorre uno sguardo esterno di specialisti per avere una diagnosi concreta. In secondo luogo, la malattia mentale non rende speciali, interessanti, più profondi, rende più sofferenti. È giusto valorizzare la dignità delle proprie emozioni e sentimenti, senza farli sfociare necessariamente nel patologico. 

A seguito di questa introduzione, si può partire con l’approfondimento del primo disturbo:

L’eletto di questo mese è il disturbo ossessivo-compulsivo, appartenente al cluster C dei disturbi di personalità. 

Il disturbo

Il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD) nell’immaginario comune è rappresentato da una persona minuziosa e precisa in situazioni come l’ordine e la pulizia. In realtà si tratta di una dinamica sottostante ben più subdola.
Innanzitutto ci sono due componenti nel OCD: quella ossessiva, caratterizzata dal rimuginio, il logorarsi interiormente a partire da un pensiero ricorrente; e quella compulsiva, che si riflette nell’agitazione in seguito alla proiezione del proprio contenuto su oggetti usati in maniera disfunzionale. Con «disfunzionale» si intende quella deviazione dalla funzione principale: la strategia non viene messa in atto o se viene messa in atto non ottiene il risultato principale, che è appunto stare bene.

Il primo fattore da evidenziare nell’OCD è la componente di aspettativa del sè. 

Questa pretesa di uno stato di soddisfazione personale permanente si caratterizza per una tensione all’infinito. 

Non importa quante volte il soggetto compirà il rito di espiazione, dove l’espiazione consiste nell’emendare il sè visto come debole e inadatto: l’asticella sarà elevata sempre più in alto, in un’esasperante condanna al senso di inadeguatezza e sconforto. Quello diviene l’obiettivo di salvezza, quella l’unica attività che possa rendere all’altezza dell’esistenza che si sta conducendo. 

La personalità affetta da disturbo ossessivo-compulsivo è perfezionista, a partire dall’ideale di condotta morale per arrivare a quello di pulizia, più comunemente riconosciuto.

Le cause

Le cause sono da individuare probabilmente in un senso diffuso di debolezza del sè. La troppa apprensione da parte dei genitori può portare il figlio a vedersi come «bisognoso. Ma anche un’educazione molto rigida può sfociare nello sviluppo di questo disturbo. 

Si stima che circa dal 2,1 al 7,9% della popolazione generale abbia un disturbo ossessivo-compulsivo di personalità; 

La diagnosi

La diagnosi avviene in base alla soddisfazione di questi criteri, in accordo al Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali:
Preoccupazione per dettagli, regole, programmi, organizzazione ed elenchi 

•Lo sforzo di fare qualcosa di perfetto che interferisce con il completamento del compito. 

•L’eccessiva devozione verso il lavoro e la produttività (non a causa di necessità finanziarie), con conseguente abbandono delle attività per il tempo libero e per gli amici. 

•Eccessiva coscienziosità, meticolosità e inflessibilità per quanto riguarda le questioni ed i valori etici e morali.

Mancanza di volontà di buttare oggetti usurati o senza valore, anche quelli che non hanno valore sentimentale.

•La riluttanza a delegare o a lavorare con altre persone a meno che queste persone non decidano di fare le cose esattamente come i pazienti vogliono.

•Un approccio avaro nello spendere per se stessi e per gli altri perché vedono il denaro come qualcosa da conservare per futuri disastri.

Rigidità e testardaggine.

La presenza di quattro di questi sintomi potrebbe essere un’avvisaglia sintomatica di quello che è il disturbo ossessivo-compulsivo.
Le conseguenze di questo disturbo possono essere gravi, anche in relazione a comorbiditá di depressione e utilizzo di sostanze. Inoltre, l’individuo affetto da questo disturbo presenta una difficile forma di isolamento, proprio in virtù della propria dedizione all’oggetto disfunzionale. 

Le manifestazioni

Le manifestazioni di questo disturbo sono nuomerose, in quanto possiede spettro molto ampio. Nel DSM-V sono state inserite numerose sottocategorie, come la tricotillomania, ossia l’irrefrenabile bisogno di strapparsi i capelli; oppure la dismorfofobia, ossia la fobia dovuta ad una visione distorta del proprio aspetto fisico. Anche l’acquisto compulsivo è una forma di disturbo ossessivo-compulsivo. 

La terapia

Per quanto concerne la terapia, si può valutare un percorso a indirizzo cognitivo-comportamentale, che spinga il paziente ad eliminare le barriere di compulsività attraverso esercizio metodico. Per quanto riguardo l’ossessione, la scrittura come forma comprensione può aiutare a canalizzare i propri pensieri in una direzione. Le sedute di gruppo, inoltre, permetteranno di comprendere e di modificarsi attraverso il contatto con l’altro, quindi il riconoscimento di questo come riconoscimento del sè, proprio in quanto visto come simile. La terapia cognitivo comportamentale si basa sulla relazione triangolare tra pensieri-emozioni- comportamenti, nella quale il presupposto è quello per cui i pensieri creino emozioni, le emozioni creino comportamenti e i comportamenti rinforzino i pensieri.

Il punto focale della TCC è aiutare il paziente a riconoscere gli schemi ricorrenti e disfunzionali di ragionamento e quindi di azione. L’apprendimento di nuove strategie di risposta è l’obiettivo del percorso di durata stabilita. Infatti, una delle qualità della TCC è, non solo il fatto di essere scientificamente provata, ma anche il fatto di essere definita nei tempi e nelle modalità. 

Articolo di Chiara Dambrosio

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