Del: 22 Gennaio 2020 Di: Lorenzo Rossi Commenti: 0

Venerdì 17 gennaio si è svolta in Statale, organizzata dalla Scuola di giornalismo Walter Tobagi, la conferenza “Cosa fare per aumentare la produttività e la crescita in Italia”. A spiegare il problema è stato invitato l’economista Michele Boldrin.

Boldrin è Professore presso la Washington University di St. Luis negli Stati Uniti ed è conosciuto in Italia per essere stato tra i fondatori dell’ormai scioltosi partito Fare per fermare il declino. Dal 2019, egli ha fondato una piattaforma chiamata Liberi, oltre le illusioni (potete trovare il canale su YouTube) dove, insieme ad altri esperti e colleghi, vengono affrontati temi di attualità politica ed economica.

Il professore ha spiegato in maniera non solo semplice, comprensibile anche da chi mastica poco il gergo economico, ma anche esaustiva una situazione che l’Italia si porta dietro da diversi decenni, ovvero una crescita e una produzione stagnante, accompagnata tuttavia da una crescita del debito pubblico sempre maggiore.

Innanzitutto egli si è impegnato a sfatare certi miti, considerati come la risposta a tutti i problemi secondo altri economisti o politici. Un esempio è la TFP (Total Factor Productivity), ovvero una misura per l’incremento di produttività dovuta agli investimenti o alle nuove tecnologie in gioco, che Boldrin ricorda essere utile se ci si ricorda che è, appunto, solo una misura e non una teoria; ha sfatato poi i miti, tanto cari ai sovranisti, come coloro che ritengono che più un governo spende e fa debito – cioè stampando moneta –  allora automaticamente la domanda e la produttività crescono di conseguenza, o quelli che sostengono che basta avere una popolazione maggiore per favorire la crescita – “perché allora la Russia cresce molto poco e la Svizzera ha una produttività eccellente?” domanda retoricamente il Professore. La produttività, a suo avviso, dipende quasi solamente dall’efficienza delle imprese dentro lo Stato e dal loro comportamento.

Specificatamente sul caso Italia, Boldrin mette in evidenza la nota e profonda eterogeneità del Paese. Qui una delle chiavi di lettura per comprendere la stagnazione della crescita italiana. A partire dagli anni ‘80, se non in certe zone, non si è riusciti a fare dell’Italia un polo di attrazione di capitali e investimenti – ricorre spesso il paragone tra Milano e una provincia della Sicilia. Ciò ha provocato un rallentamento di quei fenomeni di mercato come lo scambio di idee e tecnologia, la competizione e lo sviluppo di nuovi settori economici. Si è persa dunque la capacità dei “vantaggi assoluti”, ossia di attrarre imprese e lavoratori senza relegare la produzione di certi settori ad un territorio piuttosto che a un altro – il Professore fa l’esempio dei sussidiari che nel secolo scorso venivano usati per descrivere quale regione fa meglio determinati prodotti.

Qual è quindi la soluzione a tutto questo? Boldrin ammette lui stesso che non ha una risposta definitiva per il complicatissimo problema dell’economia italiana. Tuttavia non ritiene che la proposta di aumentare la partecipazione dello Stato nell’economia sia efficace – Boldrin, un tempo marxista, ora viene definito dal dibattito pubblico un liberale, anche se lui preferisce non appellarsi a correnti o ideologie. La partecipazione dello Stato nel PIL italiano sarebbe più del 60%, contando non solo la spesa pubblica anche il fatturato di tutte le aziende legate allo Stato. Pur non escludendo che nuovi processi di selezione dei dirigenti pubblici potrebbe – se dimostrato empiricamente – migliorare la situazione, egli esclude al momento una maggiore statalizzazione dell’economia.

Un’importa critica – anzi, autocritica – Boldrin la fa al suo settore professionale e ai suoi colleghi, in special modo coloro che, per interessi mediatici e politici, ritengono di aver ottenuto la formula magica per risolvere ogni problema, dimenticandosi che ancora oggi molte dinamiche economiche sono ancora non del tutto comprese, e che ogni situazione dovrebbe essere affrontata singolarmente e specificatamente.
Inoltre, a suo avviso, troppe volte il dibattito economico si è fermato al semplice conflitto ideologico, invece di discutere su misure tecniche e concrete per risolvere i problemi.

Lorenzo Rossi
Politicamente critico. Fieramente europeista.
Racconto e cerco risposte in quel che accade nel mondo.

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