
Quando Jeff Bezos la fondò nel 1994, Cadabra.com doveva essere una grande libreria online che prometteva di consegnare i libri a casa dell’acquirente in tempi più o meno brevi. Meno sicuramente di quanto lo stesso acquirente avrebbe impiegato nell’uscire, recarsi nella libreria più vicina e comprarlo di persona: ma il brivido di spendere senza muoversi dal divano e poi la gioia di vedersi comparire l’oggetto alla porta di casa in mano ad un sorridente fattorino era sufficiente per compensare i giorni di attesa. Oggi quell’azienda si chiama Amazon, vende ogni categoria di oggetti, ha magazzini in tutto il mondo, vendite che si stima arriveranno a sei miliardi nel 2024, e si è arricchita di servizi di streaming online (Amazon Prime Video) e di musica (Amazon Music).
Com’è riuscita questa azienda a farci credere che non possiamo più fare a meno dello shopping online?
Amazon ci ha semplificato la gestione dello spazio: non occorre girare per tutta la città, dal supermercato al negozio di elettronica alla piccola libreria indipendente, magari carichi di pacchi, quando una sola applicazione può fornirci tutto quello di cui abbiamo bisogno.
L’euforia dell’avere tutto, subito
Ma il prodotto che ci ha venduto meglio è stata l’idea che possiamo avere un oggetto anche eliminando – o meglio, evitando di pensare al tragitto che compie per raggiungerci. La spedizione non è un problema per gli acquirenti: con il programma Prime ci si abbona annualmente ad un servizio di consegna gratis illimitata. I tempi, poi, si sono progressivamente ridotti: acquistando entro le sei di stasera l’ultimo modello di Adidas quasi certamente le indosserete domani. Quest’esaltazione della rapidità ci ha convinti che se qualcosa non ci può essere consegnato in tempi irrisori, non è degno di diventare nostro: ma per soddisfare la nostra impazienza è necessaria una rete organizzativa che Amazon ha sviluppato alla perfezione, ma con cui tutte le altre aziende non possono competere. Quando i loro negozi fisici si svuotano, spesso vengono spinte sull’orlo del fallimento.
E’ stato anche coniato un termine economico per rappresentare il fenomeno: l’“Amazon effect” allude all’impatto creato dalla piattaforma di e-commerce sulla vecchia economia dei negozi fisici, dovuto al cambiamento nelle modalità di acquisto, nelle aspettative dell’acquirente e ad un nuovo scenario di competizione.
Il paradossale calcolo costi-benefici
In realtà il principio del costo opportunità alla base del successo di Amazon è vizioso. Siamo convinti che la mezz’ora necessaria per recarci in un negozio, comprare e ritornare a casa sia tempo sprecato e che pagare un sovrappiù per la consegna in un’ora ci permetta di risparmiare minuti di vita: minuti che, facilmente, spenderemo su qualche social media. La vita in città è sempre più frenetica e abbiamo sempre meno tempo, sempre meno di quanto ci servirebbe per fare tutto ciò che vorremmo: Amazon si è proposto come salvatore, offrendoci frammenti di tempo che probabilmente non useremo per fare qualcosa di grandioso.
Il punto di forza è stato rivoluzionare il cosiddetto “ultimo miglio”, la tratta finale che un prodotto compie, da un hub logistico all’abitazione dell’acquirente: prima dell’e-commerce eravamo noi stessi ad occuparci dell’ultimo miglio, inserendoci nella catena logistica come ultimi trasportatori dell’oggetto. Quando abbiamo rinunciato a questo ruolo ci siamo innamorati dell’idea che l’oggetto fosse in grado di spostarsi da solo per raggiungerci. Questa possibilità non è neanche così lontana: è in via di sviluppo Prime Air, che permetterà di ricevere gli ordini in meno di 30 minuti via drone. Niente più persone nella catena di trasporto, nessun venditore, a mala pena sopravvive l’acquirente, abbarbicato dietro la pressione del suo pollice sul pulsante “aggiungi al carrello”. Non è difficile immaginare il momento in cui non avremo più voglia nemmeno di ordinare, e ci abboneremo a qualche servizio che decida per noi cosa desideriamo.