Del: 28 Gennaio 2020 Di: Lorenzo Rossi Commenti: 1

L’esito di questa tornata elettorale regionale vede la vittoria del presidente uscente in Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, e quella ampiamente annunciata di Jole Santelli in Calabria. Inutile girarci intorno, sappiamo tutti che ad aver avuto più importanza, non solo sul piano mediatico ma anche su quello politico era la partita per la regione del Nord, da decenni considerata roccaforte rossa – addirittura chiamata durante la campagna come “il secondo muro di Berlino” –, che ha visto un aumento di più del 20% di affluenza rispetto la scorsa elezione. Nonostante la dura sconfitta di Salvini, il fatto che il Carroccio abbia ottenuto più del 30% in una regione come l’Emilia Romagna è di sicuro un segnale da non sottovalutare per la sinistra.

Eppure, pare che questa volta il teorema socio-politico del “buon governo” abbia trionfato. Lo dicono i dati: grazie al voto disgiunto, il nome Bonaccini ha ottenuto più voti dell’intera coalizione di centrosinistra – il contrario è successo con la rivale. Questo indica che i cittadini sono andati alle urne con la convinzione di votare il Presidente uscente, invece di un partito preciso.

Altro fattore rilevante riguarda i temi della campagna elettorale. Bonaccini si è presentato con un programma che riprendeva i successi ottenuti in questi anni di presidenza; in ogni intervento, comizio e comunicazione, citava fatti ed esempi concreti legati all’efficienza della regione.

Borgonzoni, o meglio colui che parlava per lei, riprendeva quasi interamente i temi caldi comunicati quotidianamente sui social del capo della Lega. Non c’è stato un focus su proposte concrete come ha fatto il governatore uscente, se non per l’enorme interesse portato avanti sul caso Bibbiano – dove il 56% delle preferenze è andato a Bonaccini. In poche parole, l’ex presidente è riuscito a convincere più elettori del centrodestra a votare per lui di quanti del centrosinistra siano stati convinti a votare la rivale.

In Calabria la situazione è andata molto diversamente. La vittoria della Santelli era già nell’aria giorni prima delle elezioni. Il centrodestra si mantiene forte nella regione del sud, la candidata ha sbaragliato con oltre il 50% dei voti, contro il 30% circa del candidato sostenuto dal centrosinistra, Callipo. Tuttavia, anche in questo caso la Lega non si è confermata come primo partito della coalizione, cedendo il ruolo a Forza Italia, seguita da Fratelli d’Italia, ma complessivamente il partito più votato è stato il PD con il 14%.

Disfatta di Caporetto per il Movimento 5 Stelle. Sono settimane che il Movimento si arrovella sul proprio avvenire. Se una parte del gruppo parlamentare a Montecitorio aveva ormai familiarizzato con l’alleanza col PD, la scelta dell’ormai ex capo Luigi Di Maio di correre da soli alle regionali sembrava destinata a eludere ancora la questione. L’esito di questa mossa è passata direttamente dal proprio elettorato: in diversi capoluoghi dell’Emilia Romagna la maggior parte di coloro che il 26 maggio scorso avevano barrato il simbolo del Movimento hanno ora votato Bonaccini, mentre una percentuale decisamente minore il candidato grillino Benini.
In Calabria non è andata meglio: se il 4 marzo del 2018 la quasi totalità della Calabria era dominata dai 5 Stelle, ora appena il 7% degli elettori ha votato per il candidato Aiello.

Ci sono diverse riflessioni da fare.

In primis il ruolo dei social e della comunicazione tramite essi. La battaglia mediatica si è giocata esclusivamente al nord. Non se la prendano i lettori calabresi, ma la posta in gioco per Lega e Partito Democratico era nettamente più alta in Emilia Romagna. Era stato definito un messaggio chiave che avrebbe ricevuto il governo, un test sull’affidabilità. In questo l’utilizzo dei media e dei social durante la campagna è stato vitale. La campagna di Salvini e Borgonzoni, pur restando ancorata alla solita metodologia – baci a cibi tipici, tradizioni, liste, foto di animali ecc – e attacchi al governatore uscente è riuscita a conquistare e a consolidarsi in una fetta impressionante dell’elettorato emiliano, considerata la storia della regione, e a condurlo alle urne.

Stesso processo è avvenuto dall’altra parte col movimento delle sardine che, ponendosi in un ruolo da metapolitici, sono riusciti a riempire piazze ed indirizzare un certo bacino elettorale che altrimenti sarebbe finito tra gli astenuti e senza il quale non si sa se Bonaccini avrebbe vinto con tale distacco.

Tuttavia le sardine dovranno iniziare presto a darsi un’identità politica definita, ora che il loro compito in Emilia Romagna pare essersi concluso, altrimenti rischiano di fare la fine dei girotondi.

La sinistra – o meglio, Bonaccini – può festeggiare, ma deve mettersi al lavoro sui territori ancora suoi per  evitare che Salvini se li accaparri uno dietro l’altro. Che messaggio arriva al governo? Di sicuro, queste elezioni non danno un indice di stabilità della relazione PD-M5S. I dem ne sono usciti più rafforzati, i pentastellati altamente tumefatti ma non s’intravedono crisi all’orizzonte e nessuno al momento pare intenzionato ad utilizzare il risultato elettorale per far valere le proprie posizioni all’interno della maggioranza. Potrebbe andare diversamente per il fresco referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari indetto per il 29 di marzo, ma a quello ci penseremo allora.

Lorenzo Rossi
Politicamente critico. Fieramente europeista.
Racconto e cerco risposte in quel che accade nel mondo.

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