Del: 22 Gennaio 2020 Di: Redazione Commenti: 0

Il tentativo di questa rubrica è quello di essere utile per chiunque riconoscesse in sé o in qualcuno di vicino una forma di malessere. La sensibilizzazione è importante nel momento della comprensione e dell’azione, in quanto spinge alle opportune cure mirate.

“Specchio delle mie brame, chi è il più insicuro del reame?”

Oggi si parla di narcisismo, uno dei disturbi più affascinanti e controversi.
L’esordio tradisce la conclusione: il soggetto che soffre di questo disturbo di personalità è un’identità frammentata per non aver ricevuto dal mondo un corrispettivo pari alle proprie aspettative.

Ciò che ha fatto sorgere queste aspettative può essere rintracciato nel rapporto con le figure genitoriali: il figlio è trattato come se fosse migliore degli altri e meritasse un trattamento privilegiato, quindi, una volta entrato nel contesto extrafamiliare non vede le proprie convinzioni soddisfatte; oppure il figlio non è considerato, pertanto è necessario costruirsi da sé, ma soprattutto tutelarsi dalle insidie del mondo.

Pertanto la personalità narcisista cerca di compensare attraverso una visione gloriosa del sé, che ostenta con marcata pretesa che queste imprese possano essere considerate come tali.

Le fantasie del soggetto affetto da questo disturbo sono di successo illimitato, il che rende ancora più difficile lo spogliarsi di tutta quella dimensione ideale alla quale si è aggrappati per sopravvivere.

L’empatia scarseggia nel momento in cui non vi è dimensione di immedesimazione e coinvolgimento: altro non è che una mossa di difesa per non rendersi vulnerabili.

Oppure l’empatia può essere utilizzata in termini strategici, non per malignità, quanto piuttosto per il tentativo di ricevere l’amore ideale: quando questo individuo si scontra con la realtà dell’imperfezione tende a manipolare l’altro affinché possa rientrare nella sua dimensione concettuale di amore.

Gli atteggiamenti che può assumere appaiono come arroganti e presuntuosi, ma occorre analizzare quelli che sono i meccanismi intrinseci alla patologia.

Chi soffre di questo disturbo della personalità, difficilmente lo riconosce, dal momento che difficile è infrangere le corazze che sono state create per proteggersi.

La visione del sé è in continuo stato di allerta, pertanto si ricorre a strategie di compensazione del “sono il migliore, sono unico e speciale, pertanto nessuno può scalfire questa condizione mandandomi in crisi”.

La visione degli altri è a sua volta marcata da un sospetto e sfiducia, così vige il risentimento di non essere stati considerati nelle proprie vesti di “esseri speciali”.

Il narcisismo è stimato essere all’1% della popolazione, tendenzialmente occidentale di sesso maschile. È necessario svolgere anche una riflessione di carattere sociale in merito a questa preponderanza: i presupposti di virilità e di competizione destano numerose complicazioni per gli uomini di oggi, proprio perché vi è uno stereotipo ideale al quale aderire. L’uomo occidentale è costretto a mascherare le proprie emozioni per non essere considerato debole ed “effemminato”.

Il narcisismo altro non è che il frutto di una società maschilista che miete vittime in entrambi i sessi.

La negazione di questo disturbo, definito egosintonico, rientra in quella dinamica per cui assoggettarsi a una condizione è da deboli, pertanto è difficile che si ammetta di soffrirne. Il percorso di accettazione rispetto a un disturbo è complesso, verrà quindi trattato in un altro articolo.

La terapia possibile varia: si può parlare di terapia cognitivo comportamentale, schema therapy e terapia metacognitiva comportamentale, tutte volte alla ricostituzione del sé e delle relazioni interpersonali. Lo scopo principale è quello di rendere il paziente consapevole delle proprie dinamiche, per quanto sia difficile ammetterle, ed educarlo a riconoscere le proprie emozioni senza filtri di difesa, ovviamente con la dovuta cautela e calma.

Per quanto riguarda l’uso di farmaci nei disturbi di personalità, si può dire che possano servire solo nel momento in cui si deve tutelare il paziente da alcune manifestazioni a rischio.
I soggetti affetti da questo disturbo infatti presentano stati depressivi, ipocondria e attacchi d’ansia. Ma non c’è soluzione, se non la terapia di parola, per quanto riguarda la struttura della personalità, che non può essere modificata attraverso l’uso farmacologico.

Il narcisismo è una patologia psichiatrica come le altre, non deve essere demonizzata e, come tutti i disturbi di personalità, non si deve identificare l’individuo con il proprio disturbo. Si tratta di una disfunzione della personalità nei termini di relazioni con gli altri e, soprattutto, con se stessi, non si tratta di carattere o indole.

Come anche occorre non confondere la vanità con un sintomo: patologizzare le persone che ci circondano è rischioso e, a sua volta, presuntuoso. La diagnosi deve essere fatta da specialisti nel settore, come in qualsiasi altra patologia.

Il termine narcisista è abusato, ma in psicologia clinica indica uno stato di sofferenza, non l’essere “cattive” persone. In terapia non vi è giudizio sul paziente, vi è solo analisi e tentativo di risoluzione.

C’è una soluzione alle ombre della mente, occorre credere che i professionisti del settore siano competenti e capaci di aprirci una finestra sulla nostra psiche, spesso così insidiosa e subdola.

Articolo di Chiara Dambrosio

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