Pochi giorni fa la Corte di Cassazione, dopo che 71 senatori hanno raccolto le firme necessarie, ha dato il via libera al referendum confermativo sul taglio dei parlamentari: una bella notizia, soprattutto per il governo giallorosso.
La palla passa ora al consiglio dei ministri: entro due mesi dovrà decidere una data per la consultazione, che potrà essere scelta nell’intervallo fra il 50esimo e il 70esimo giorno dopo la seduta del consiglio. Si potrebbe andare a votare tra gli ultimi giorni di marzo e i primi di giugno.
Saranno quindi i cittadini a decidere se mantenere il numero a 945 o se dare un’energica sforbiciata ai parlamentari della Repubblica, per portarli a 600.
In molti sono convinti che quella del sì alla riforma sia una vittoria già scritta: secondo un sondaggio dell’istituto Demos, l’86% degli italiani è favorevole al taglio; bisogna inoltre considerare che, nell’ultimo passaggio alla Camera dei Deputati, la riforma ha ottenuto il pollice all’insù di tutte le principali forze politiche, di maggioranza e opposizione.
Solo tre mesi prima, al Senato, il centrosinistra aveva bocciato la riforma e Forza Italia si era astenuta. Il cambio d’esecutivo ha però costretto la nuova maggioranza ad accettare le condizioni del Movimento 5 Stelle. È dunque improbabile che un partito faccia aperta campagna per il no; solo +Europa, al momento, ha preso posizione in questo senso.
Tuttavia, la vera importanza del referendum non consiste nelle questioni di merito, quante nelle tempistiche.
La decisione della Corte di Cassazione è giunta in un momento delicatissimo per la maggioranza giallorossa: dopo le dimissioni di Di Maio, a marzo si terranno gli Stati generali del M5S da cui dovrà uscire una nuova leadership; ma l’evento più atteso è ovviamente l’incerto voto in Emilia-Romagna di oggi. Se il centrodestra dovesse riuscire nell’impresa di espugnare la roccaforte rossa, Matteo Salvini potrebbe aggiungere un grosso sasso al suo braccio della bilancia e chiedere con ancor più forza il voto anticipato.
Ed è proprio qui che il referendum gioca un ruolo fondamentale. Se il voto si terrà a fine marzo, ipotesi ventilata negli scorsi giorni, saranno poi necessari due mesi per ridisegnare i collegi elettorali e sarebbe difficile tornare all’urne prima dell’estate; considerando poi che nell’Italia repubblicana non si è mai votato in autunno, stagione di bilanci, le eventuali elezioni slitterebbero al 2021, più o meno tra un anno. Non un’eternità, ma comunque un tempo abbastanza lungo per recuperare punti su Salvini, il quale dovrebbe prolungare di un altro anno la sua perenne campagna elettorale.
In questo senso, il sostegno fondamentale che alcuni senatori leghisti hanno dato alla raccolta delle firme per il referendum (portata avanti principalmente da Forza Italia) potrebbe rappresentare un autogol per Salvini. Ai parlamentari più attenti, inoltre, non sarà sfuggito il fatto che “taglio dei parlamentari” significa inevitabilmente taglio delle probabilità di essere rieletti; dopo il referendum, quindi, molti potrebbero essere poco disposti a ripassare la palla agli elettori.
Un voto anticipato prima del taglio dei parlamentari non è impossibile, ma difficilmente Mattarella lo concederà, soprattutto se il Consiglio dei ministri sceglierà il 22 o il 29 marzo per il referendum. Il Conte II ha quindi tutto l’interesse nel tenere quanto prima la votazione, per poi tirare subito una bella boccata d’aria.