Del: 6 Febbraio 2020 Di: Lorenzo Rossi Commenti: 0
Le riforme delle pensioni, una truffa per una generazione intera

Quota 100 verrà mandata in pensione: c’è chi dice a fine 2021 (ossia al compimento del triennio previsto) e chi preme per superarla prima.

Di sicuro il mondo della politica e del lavoro stanno discutendo su come superare, finalmente, questa forma di pensionamento anticipato varata dal governo Lega-M5S che prevede i 62 anni di età anagrafica e i 38 di contributi.

Attualmente sono due le proposte sul tavolo delle trattative: la prima, proveniente dal governo e già ribattezzata Quota 102, prevede un pensionamento anticipato a 64 anni di età con 38 anni di contributi (per l’appunto somma 102), ma con liquidazione della pensione solo col metodo contributivo; la seconda proviene dal mondo dei sindacati, che puntano su pensione con 62 anni di età e almeno 20 anni di contributi, ma senza penalizzazioni.

Quota 102 Pensioni peserebbe relativamente poco sulle casse dell’Inps, la seconda sarebbe una vera e propria stangata sui conti pubblici, con un costo stimato di circa 20 miliardi di euro l’anno.


Esiste anche una terza via fra chi propone di cancellare la legge Fornero e il ricalcolo pienamente contributivo. L’idea è dell’ex presidente dell’Inps, Tito Boeri, e consiste nell’abbassare la pensione di circa l’1,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni e almeno 20 anni di contributi, attualmente previsti dalla riforma Fornero, la quale aveva innalzato l’età pensionabile. Boeri va anche oltre e propone di ridurre gli oneri contributivi per i giovani, “come si fece nel 2015 con la decontribuzione”.

Insomma, fuori da Quota 100 con pensioni senza danni.

Quello che conta è superare la manovra dell’ormai ex ministro Salvini, rivelatasi un fiasco, destinata a pesare sulle casse dello Stato e che ricadrà sulle tassazioni dei giovani lavoratori di oggi e domani, già vessati da basse remunerazioni e un mercato del lavoro stagnante, poco innovativo e con scarse possibilità di assunzioni e impieghi qualificati.

Eppure il nuovo governo, nella sua mescolanza di continuità e discontinuità, tanto nelle persone quanto nel programma, l’aveva riconfermata per quest’anno, la pericolosa Quota 100.

Nata dall’obiettivo di superare la riforma Fornero, questa misura non è che un privilegio concesso a uno specifico segmento della classe lavoratrice, già comparativamente favorito: «Un regalo ai baby boomer maschi», la definì una delle prime analisi. Perché potendo andare in pensione in anticipo e senza riduzione dell’assegno, i beneficiari riceveranno un trattamento di favore rispetto a lavoratori comparabili: un “regalo” che l’Inps stima in 20mila euro a testa, nella media.

Iniqua e costosa, questa politica è anche inefficiente. Nella sua ultima analisi dell’economia italiana, l’ISTAT ha rilevato un calo dello 0,4% nelle nuove assunzioni, altro che i “tre lavoratori assunti per ogni nuovo pensionato” tuonato da Salvini un anno fa (che già faceva storcere il naso, visto che non riusciamo neanche a soddisfare un rapporto 1:1).

Alla fine sul tema pensioni Lega e sindacati pare non siano così diversi, come testimonia la nuova proposta di Maurizio Landini, segretario della CGIL, che propone addirittura un’uscita a 62 anni e 20 di contributi, con calcolo retributivo. Una manovra, come già accennato, estremamente costosa da mettere sul conto delle future generazioni.

Eppure al segretario importa solo di superare la legge Fornero, facendo a gara con Salvini su quanto prima i due avessero messo questo punto nel loro programma.

La stessa professoressa Fornero controbatte su questa proposta, facendo riportare i piedi per terra. Ha spiegato che se si guardano i conti pubblici “non è sostenibile mandare in modo generalizzato in pensione le persone a 62 anni”. A meno che non si voglia applicare un “esercizio di irresponsabilità”, decidendo “di accelerare il declino del Paese: allora si può aumentare la spesa per le pensioni, che è già tra le più elevate (17% del Pil). Qualcuno non ha chiaro che il debito rappresenta un problema. Queste persone pensano che si possa allargare il debito senza allargare la base produttiva ma sarebbe una scelta sciagurata. Gli italiani dovrebbero ribellarsi a queste proposte per il bene dei loro figli e nipoti”.
“Ci stiamo affannando – ha continuato – su scenari di pensionamento facilitato quando la nostra età di uscita effettiva è tra le più basse tra i Paesi Ocse e poi non si investe adeguatamente nella scuola. È sulla scuola che si costruisce il futuro del Paese”

Sempre secondo la Fornero, tra le misure da adottare vi sarebbe anche quella di introdurre un limite di importo di pensione necessario per uscire con qualche anno in anticipo rispetto all’età di vecchiaia per chi ha l’intero calcolo contributivo: una linea che sembrerebbe piacere anche al Governo.

In questo marasma di proposte in pochi pensano a ciò che è concretamente vero. 

Il sistema pensionistico obbligatorio – in Italia e in tanti altri paesi – è finanziato a ripartizione. Per chi si occupa di pensioni questa è una considerazione di carattere dirimente ed elementare. 
Che cosa significa “ripartizione”? Di volta in volta, lo stock delle pensioni in vigore è finanziato, nel tempo, dai contributi dei lavoratori attivi – e dai trasferimenti pubblici di natura fiscale. In cambio, il sistema promette che, quando i contribuenti di oggi diventeranno i pensionati di domani, a provvedere ai loro trattamenti penseranno le disponibilità provenienti dalle generazioni future.

Ecco perché non ha senso la possibilità di versare, nel sistema contributivo pubblico, risorse aggiuntive oltre a quelle attinenti alla aliquota contributiva legale, allo scopo di ottenere a suo tempo una pensione più elevata. 

È storia: nel 1968, quando è stata approvata la riforma Brodolini, che introduceva le pensioni di anzianità e il metodo di calcolo retributivo delle prestazioni previdenziali, la struttura demografica del nostro paese era fatta a forma di piramide. La guerra era finita da poco, c’erano pochi anziani e molti giovani. L’aspettativa di vita era di 65 anni, gli italiani andavano in pensione a 55 anni e quindi le prestazioni previdenziali dovevano essere corrisposte in media per 10 anni. Ciò significava che ciascun lavoratore versava almeno 30 anni di contributi. Senonché, come è noto, nel corso degli anni la piramide demografica si è progressivamente rovesciata. Al punto che oggi, dopo il Giappone, siamo diventati il paese più vecchio al mondo. 

Il nostro paese si è limitato ad approvare sull’onda dell’emergenza riforme previdenziali che però incidono solo sulla spesa previdenziale e non sugli introiti contributivi necessari a finanziarla.

Il nostro sistema di welfare non solo non sostiene chi fa figli, ma con ancora maggior difficoltà riesce a trovare un lavoro per quelli che ci sono, che quindi non riescono neanche a pagare i contributi. Non è un caso che l’Inps abbia chiuso il bilancio 2015 con un risultato economico di esercizio negativo per 16.297 milioni di euro. Le uniche gestioni in attivo sono quelle con meno pensionati a carico, ovvero quella dei liberi professionisti (più 3,1 miliardi) e quella dei lavoratori parasubordinati (più 7,1 miliardi). 
Sempre secondo i dati ISTAT, il divario della ricchezza netta media tra giovani e anziani si è ampliato sempre di più, arrivando a livelli assurdi.

Per assicurare la tenuta del sistema previdenziale e a maggior ragione per finanziare l’abolizione della riforma Fornero, che quasi tutte le forze politiche a parole dicono di volere, sarebbe necessario l’intervento diretto dello Stato, il che significherebbe o aumentare il debito oppure aumentare le tasse. Ma lo stato italiano ha ormai accumulato il terzo debito pubblico al mondo, e tutti convengono sul fatto che la pressione fiscale è insostenibile.

Invece il nostro paese avrebbe bisogno di una riforma organica volta a riportare maggior equità intergenerazionale in un sistema previdenziale, accanto a molte categorie di lavoratori “precoci”, “gravosi” e “usuranti” per i quali sarebbe giusto ridurre l’età pensionabile.

In poche parole, non servono più pensioni, ma più lavoro, investimenti nei settori crescenti dell’economia, più spesa nell’istruzione e nella ricerca. In più, abolire la riforma Fornero costerebbe dagli 80 ai 90 miliardi di euro. 
Ma a questo Salvini, Landini & Co. non pensano, a loro basta parlare alla pancia. Il conto sarà salato, ma tranquilli, offrono i giovani truffati dalla storia. 

Lorenzo Rossi
Politicamente critico. Fieramente europeista.
Racconto e cerco risposte in quel che accade nel mondo.

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