Posted on: 15 Febbraio 2020 Posted by: Redazione Comments: 0
Libertà per Patrick George Zaki

Non è difficile rivedere Giulio Regeni nella cronaca sul il caso di Patrick George Zaki.

Sono solo passati quattro anni da quando il ricercatore italiano fu torturato e ucciso e ci si preoccupa che le due vicende possano condividere lo stesso esito.

A destare questa preoccupazione è stato l’arresto di uno studente dell’Università di Bologna. Si chiama Patrick George Zaki, 27 anni, ricercatore egiziano e attivista per i diritti umani. Dal settembre scorso era in Italia per partecipare al programma Gemma, un master in studi di genere e di donne, finanziato dal programma Erasmus Mundus dell’Unione Europea.

Tornato in Egitto il 7 febbraio per trascorrere una breve vacanza nella sua città natale, Mansoura sul Delta del Nilo, il giovane è stato preso in custodia dalla polizia poco dopo il suo arrivo.

Secondo quanto dichiarato dall’avvocato dello studente, Samuel Thabet, Patrick sarebbe stato bendato e trattenuto presso l’aeroporto del Cairo per diverse ore. Successivamente sarebbe stato scortato fino a Mansoura, dove avrebbe subito sevizie e torture. Solo domenica 9 febbraio a Patrick sarebbe stato comunicato di essere accusato di diffondere fake news, minacciare l’ordine sociale e la sicurezza e di incitare alla violenza. Gli è stato chiesto di rendere conto della sua permanenza italiana e del suo lavoro nella diffusione dei diritti umani.

Il ragazzo collaborava infatti con l’associazione Eipr (Iniziativa egiziana per i diritti individuali). Una sua amica, Karoline Kamel, anch’essa collaboratrice presso la stessa associazione, ha così commentato ai giornalisti di Repubblica:“Era partito lo scorso Agosto per l’Italia con l’idea di perfezionare la sua formazione e poi ritornare qui per lavorare e migliorare in Egitto”. Anche il responsabile del Ecesr, il Centro egiziano di Economia e diritti sociali, Mina Thabit, ha preso la parola sulla questione sostenendo che le accuse rivolte al ricercatore sarebbero infondate: “Patrick è un ragazzo tranquillo, non ha mai fatto niente di male e non ha precedenti. È solo un attivista dei diritti.”

Sull’attivismo del ragazzo, un giornale egiziano Akhbar al Youm, ha riportato l’opinione del noto presentatore Al Dihyi che ha sostenuto che Patrick sarebbe un omosessuale, “andato a studiare per un master sull’omosessualità all’estero e che lavora per un’organizzazione di promozione dell’omosessualità”, accuse pesanti in un Egitto dove, l’omosessualità viene reputata ancora un crimine. Questo rivolgersi all’orientamento sessuale del giovane non è un caso unico, anche durante il caso Regeni, il ricercatore italiano fu descritto come omosessuale dalla stampa egiziana.

La vicenda ha destato molta attenzione nella comunità europea tanto che David Sassoli, presidente del parlamento europeo, aveva richiesto l’immediato rilascio di Zaky sottolineando “alle autorità egiziane che l’Unione europea condiziona i suoi rapporti con i Paesi terzi al rispetto dei diritti umani”. Affermazione che era stata contestata dagli egiziani, in particolar modo da Ali Abdel Aal, presidente della Camera dei deputati egiziani, che ha commentato che, trattandosi di un affare interno egiziano, la dichiarazione di Sassoli sarebbe “un’ingerenza inaccettabile negli affari interni e un attacco contro il potere giudiziario egiziano”.

Nel resto d’Europa c’è stata una mobilitazione generale per il caso Zaky.

L’Università di Bologna ha annunciato una fiaccolata lunedì 17 febbraio, dove sfileranno, assieme ai colleghi e amici di Patrick, il sindaco Virginio Merola e il rettore dell’Ateneo Francesco Ubertini.

Sabato 15 febbraio ci sarà la prima discussione tra i legali di Patrick per il ricorso alla detenzione del ragazzo. Nel caso in cui l’esito sarà positivo Zaky verrà scarcerato, ma in caso negativo l’udienza verrà rimandata al 22 febbraio, quando la sua custodia cautelare potrebbe persino esser riconfermata per altri 15 giorni.

Se le istituzioni europee e culturali italiane si stanno muovendo, da parte dei politici italiani non c’è stata una presa di posizione netta. Il Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha affermato che si tratta comunque di una questione interna egiziana, “il ragazzo è egiziano” ha sottolineato il politico, ribadendo che, tuttavia, sono stati attivati “tutti i soggetti per conoscere cosa sia successo” e che a livello europeo, l’Italia ha richiesto “che l’Unione Europea segua tutti passaggi del processo”.

Proprio in queste settimane Di Maio ha anche difeso l’operato dell’ambasciatore italiano in Egitto, Giampaolo Cantini, dalle accuse di disinteresse nella ricerca della verità sull’uccisione di Giulio Regeni, da parte della famiglia del ricercatore italiano. Il ministro degli esteri ha affermato: “Se si vogliono difendere i diritti umani e si vuole la verità su Giulio Regeni non si può prescindere da una relazione con l’Egitto”.

In un clima del genere non è difficile che la vicenda possa avere un esito diverso rispetto a quello del caso Regeni.

In un murales ad opera dello street artist Laika, realizzato sui muri di Villa Aida a Roma, poco distante dall’ambasciata egiziana in Italia, i due ragazzi, Patrick George Zaky e Giulio Regeni, si abbracciano. Nel murales l’artista permette al ricercatore italiano di augurare quello che in molti sperano: “Stavolta andrà tutto bene”.

Articolo di Edoardo Flavio Tesolin.

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