Il due febbraio è stato automaticamente rinnovato il Memorandum d’intesa fra Italia e Libia per la gestione dei flussi migratori. I ministri Lamorgese e Di Maio avevano promesso di modificare gli accordi, ma per il momento tutto resta come prima.
L’accordo fu siglato nel febbraio 2017 dal governo Gentiloni, nel pieno della crisi europea dei migranti. In Libia, il Governo di Accordo Nazionale guidato da Fāyez al-Sarrāj stava fronteggiando la guerra civile e su diverse regioni Tripoli non aveva alcun controllo: lungo le coste, le organizzazioni criminali gestivano indisturbati il traffico di migranti che arrivavano in Libia per tentare la traversata del Mediterraneo. Se nel solo 2016 furono 160mila i migranti arrivati in Italia dalla Libia, nel 2018 il numero era sceso a 22mila.
Cosa prevede l’accordo appena rinnovato?
Il memorandum, sulla carta, propone obiettivi ambiziosi: si parla infatti di cooperazione euro-africana volta ad eliminare le cause dell’immigrazione clandestina e di sostegni allo sviluppo nelle regioni coi maggiori tassi di emigrazione.
Tuttavia, il nocciolo dell’accordo è il contenimento delle partenze dalla costa libica. Italia e UE hanno fornito supporto tecnico e tecnologico, hanno finanziato la Guardia Costiera libica e il sistema di controllo delle frontiere e hanno addestrato il personale all’interno dei centri di accoglienza (o, per meglio dire, di detenzione) in cui vengono portati i migranti intercettati dalle autorità. All’interno dei diciannove centri governativi sono custodite attualmente circa cinquemila persone, ma le organizzazioni internazionali possono accedere solo a tre di questi.
Le critiche
A suscitare le prime critiche è stato il mancato passaggio in Parlamento dell’accordo: l’articolo 80 della Costituzione impone che i trattati internazionali di natura politica ricevano la ratifica delle Camere.
Ma i punti più critici del memorandum riguardano il trattamento dei migranti: nel 2018 l’ONU parlava di “inimmaginabili orrori” in un rapporto basato su 1300 testimonianze di profughi; ma ci sono numerose inchieste giornalistiche, con video e fotografie che documentano le condizioni in cui vivono i prigionieri dei campi. Sono emerse prove schiaccianti di torture, omicidi, umiliazioni e stupri; un quadro di sistematiche violazioni dei diritti umani che da tre anni Italia e UE finanziano tacitamente.
Il problema di fondo è che la cosiddetta Guardia Costiera libica e i centri di detenzione sono in mano a milizie alleate del Governo di Accordo Nazionale nella guerra contro il generale Haftar. Trattare con il governo libico significa quindi, più o meno indirettamente, trattare con queste organizzazioni. Difficilmente il primo ministro Serraj deciderà di chiudere i centri, o di affidarli all’ONU, perché significherebbe perdere il sostegno delle milizie.
In tutto ciò, UE e Italia hanno forme di controllo ridotte: non vi sono rappresentanze permanenti sul territorio libico, le navi dell’Operazione Sophia non possono navigare in acque territoriali libiche e la missione civile per il controllo delle frontiere, Eubam, ha trasferito la sede a Tunisi a causa della guerra civile.
L’incontro con Bija
Un’inchiesta apparsa su Avvenire lo scorso ottobre, condotta da Nello Scavo, aveva portato alla luce un inquietante incontro avvenuto a Mineo nel maggio 2017 tra alcuni funzionari italiani e le autorità libiche; il motivo dell’incontro sarebbe stato quello di studiare il modello del Cara di Mineo. A quel tavolo, però, sedeva anche Abd al-Rahman al-Milad, meglio noto come Bija.
Presentato come uno dei capi della Guardia Costiera libica, per le Nazioni Unite Bija è invece uno dei più violenti trafficanti di esseri umani in Libia, accusato di aver affondato barconi con armi da fuoco e di essere il vertice di una potente organizzazione mafiosa nell’area di Zawiyah.
Ambiguità sulla gestione dei fondi
Suscita perplessità anche la gestione dei fondi che l’Italia e l’Unione Europea hanno incanalato verso la Libia: secondo Euronews ammonterebbero a 475 milioni di euro negli ultimi due anni, di cui 90 per la Guardia Costiera (la stessa di cui Bija è a capo). L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) aveva chiesto al ministero degli Esteri e all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) una rendicontazione dettagliata delle attività svolte in Libia; l’OIM ha però negato il consenso e conseguentemente il TAR del Lazio ha dato responso negativo alla richiesta sul ministero degli Esteri. Le condizioni estremamente delicate in cui l’OIM opera e la sensibilità delle informazioni richieste sono i motivi dei due rifiuti.
Il futuro
Con questo accordo, la crisi dei migranti non viene risolta ma allontanata, confinata tragicamente in Libia. Ieri, a Roma, il ministro dell’interno libico ha incontrato Di Maio e Lamorgese, i quali continuano a dichiarare di voler migliorare l’accordo. Ma per farlo è necessaria un’intesa bilaterale e, ora che il memorandum è stato rinnovato per tre anni, difficilmente l’Italia verrà meno ai suoi impegni.