
Chi è cresciuto con i prodotti televisivi dei primi – primissimi – anni 2000 associa probabilmente un particolare tipo di scena alle parole sex e education: quella girata all’interno del sempre attualissimo setting dell’High School americana. Tra armadietti, squadre di football e cheerleaders talvolta gli sceneggiatori decidevano di ritrarre l’essenza dell’adolescenza, la scoperta della sfera sessuale, nella grottesca visione del professore (solitamente uomo) che spiegava ai propri studenti come si indossasse un profilattico.
Sex Education, la serie prodotta da Netflix e scritta da una giovane donna, Laurie Nunn, non solo scardina qualsiasi cliché pregresso riguardo alla rappresentazione mediatica della scoperta del sesso in età adolescenziale, bensì apre la strada a un nuovo modo di narrare questi argomenti, i quali spesso non hanno trovato l’adeguata accoglienza all’interno di quelli che si dichiaravano prodotti destinati a un pubblico giovanissimo. Vediamo come.
La seconda stagione, così come la prima (andata in onda nel 2019), è composta da 8 episodi che ci riportano subito al Liceo Moordale, nome fittizio dell’edificio scolastico inglese dove si svolge la serie; riconducendoci quindi al principale filone narrativo. Otis, l’adolescente protagonista, nonché impacciato e inesperto figlio di una sessuologa, persuaso da Maeve che, dopo essere diventata sua amica, riconosce il potenziale del ragazzo, incomincia a farsi pagare per dispensare consigli sessuali (e relazionali) a ragazzi e ragazze del proprio liceo.
Tramite questo espediente narrativo la prima stagione era riuscita a trattare temi che nella realtà per molti adolescenti si concretizzano quotidianamente in domande fatte ai vari motori di ricerca online: dalla masturbazione, all’orientamento sessuale, al sesso omosessuale. Il tutto era (e continua a esserlo, anche nella seconda stagione) supportato da una caratterizzazione significativa dei personaggi: basti pensare a Marc, il campione della squadra di nuoto, nonché ragazzo nero e figlio di due donne. Il suo caso è esemplare per riflettere sul principale merito di una serie come Sex Education: quello di non reiterare dei modelli rappresentativi che non rispecchiano la realtà.
Quanto può essere importante per un adolescente del 2020 potersi rivedere nella vicenda di Eric, il migliore amico di Otis, ragazzo nero e omosessuale?
E il personaggio di Isaac, in sedia a rotelle, che viene introdotto nella storia senza elevare la sua disabilità a unico fatto da raccontare?
Nella seconda stagione compaiono una serie di indicatori che permettono di affermare che le intenzioni di creare una nuova narrazione intorno al sesso adolescenziale ci sono e, sebbene potrebbero essere sviluppate ancora meglio, rappresentano un punto di partenza importante. Jean, la madre di Otis, viene coinvolta lavorativamente nel liceo del figlio: nel dispensare consigli tratta di piacere femminile e di lubrificanti.
Quante volte possiamo dire di aver visto, all’interno di una serie TV popolare, trattare l’orgasmo femminile?
Sono sicuramente più numerose le volte in cui una ragazza ha visto ritrarre la perdita della verginità come un rituale quasi religioso ed esclusivamente eterosessuale.
Senza recriminare nulla a prodotti televisivi o filmici del passato, è importante prendere consapevolezza, soprattutto in un paese come l’Italia, che parlare di sesso è, appunto, educare e informare; nonché qualcosa che ha strette ricadute nell’ambito relazionale (e questo viene ritratto molto bene in questa stagione con l’ausilio della rappresentazione dei rapporti tra gli adulti della serie).
Lo sguardo della seconda stagione si volge anche verso un altro tema che purtroppo solo di recente ha iniziato a essere discusso sempre più assiduamente e con i giusti toni: quello delle molestie e delle attenzioni non richieste. Esattamente come l’importanza del processo di identificazione al quale si accennava prima, è fondamentale che una ragazza (e non solo) sappia che di fronte a una molestia (fisica o psicologica) la risposta non risiede nella vergogna e il mutismo. In questo, Sex Education 2 riesce in maniera esemplare e toccante.
Oltre alla meritevole sceneggiatura, la serie continua a contraddistinguersi per una particolarità stilistica: nonostante sia ambientata nei nostri anni e in Inghilterra, spesso veniamo cronologicamente disorientati dalla scelta dei vestiti, degli interni e dal poco tempo che i protagonisti passano di fronte a schermi di qualsiasi tipo: dal telefono al computer. I riferimenti sono chiari e non potrebbero scatenare nostalgia più forte per i famosi Eighties: da The Breakfast Club (1985) a Say Anything… (1989) la regia gioca con dei prodotti culturali che hanno segnato generazioni.
Alla notizia di una terza stagione, data direttamente dallo stesso profilo Instagram di Netflix, ci auguriamo che la stessa “svolta Eighties” potrà avvenire anche con il tipo di narrazione iniziata da Sex Education: inclusiva, informativa e, senza ombra di dubbio, divertente.