Ci ha lasciati una settimana fa oggi, il 6 febbraio 2020, Vittorio Spinazzola, celebre studioso, critico letterario e professore storico della Statale, che avrebbe compiuto 90 anni tra poche settimane. Rimane indelebile però la sua riflessione in ambito letterario, che rivoluzionò in direzione democratica e sociologica l’approccio alla critica.
Il fulcro della novità all’interno del suo lavoro è quello di spostare la prospettiva critica, ponendo al centro il lettore come assoluto protagonista del meccanismo editoriale e letterario, e cercando in particolare di far luce sulla relazione esistente tra testo e lettore, un’ottica generalmente posta in secondo piano dalla critica, che ha sempre dato voce più che altro all’analisi dell’opera letteraria in sé.
Il professor Spinazzola si occupò infatti con particolare attenzione dell’approfondimento di tutto il processo che accompagna il lettore nella lettura di un testo, delle scelte che egli è portato a compiere all’interno di questo meccanismo e delle dinamiche che subentrano anche dopo la lettura, ovvero tutto l’ambito legato al soddisfacimento di un bisogno al quale il lettore sta rispondendo attraverso la lettura, che può avere varie direzioni di sviluppo a seconda del rapporto che verrà stabilito tra il lettore e l’opera.
All’interno dei suoi studi sviluppa una teoria della lettura che prende spunto da quello che il professore definisce come un paradosso, ovvero il fatto che esistano una pluralità di ricerche in merito al tema della scrittura e quasi nulla su quello della lettura (fino ad anni molto recenti), nonostante ad essere più diffusi e numerosi siano i lettori e non gli scrittori.
Uno dei cardini del suo lavoro infatti è senza dubbio Sartre, che nel 1947 in “Che cos’è la letteratura” scriveva di come non esista letteratura senza lettori, in quanto un libro privo di qualcuno che lo legga resta soltanto un oggetto privo di significato. La prospettiva del professor Spinazzola è quindi soprattutto sociologica, in quanto va ad indagare proprio il fulcro del rapporto che si snoda tra società e letteratura, e che si consuma quindi attraverso il pubblico, e più in particolare, attraverso i suoi lettori.
Scriveva infatti in proposito al Sartre di “Che cos’è la letteratura”:
Questa affermazione famosa merita sempre di essere ricordata perchè sintetizza la necessità di passare da una concezione ontologica della produzione letteraria a una concezione funzionalista e relazionale: si scrive per essere letti; tra il leggere e lo scrivere esiste un vincolo di interdipendenza; lo scrittore è sì il protagonista ma il lettore ha un ruolo coprotagonistico nelle dinamiche della letterarietà.
È infatti sempre attraverso la prospettiva del lettore che egli arriva a muovere alcune perplessità in merito al lavoro svolto dai critici. All’interno di una visione che mette in luce lo spaesamento della gran parte dei lettori di fronte all’eterogeneità e alla molteplicità di scelta del panorama letterario, lo studioso individua la soluzione in un ruolo ideale dei critici, che dovrebbero farsi carico del compito di orientare i lettori.
Tutto questo meccanismo paga, però, le spese di una grave crisi della classe dei critici, che con il tempo non ha fatto che elevarsi e rinchiudersi in una torre d’avorio di esclusivo colloquio riservato agli specialisti del settore, inserendosi così in una prospettiva fortemente gerarchica che è andata sempre più nella direzione di escludere completamente il lettore comune.
Esemplare sulla base proprio di queste sue perplessità in merito alla classe dei critici il lavoro svolto in prima persona dal professore come studioso di paraletteratura, con analisi che spaziano dal poliziesco al romanzo rosa al fumetto, trattati con la medesima perizia e passione della letteratura più canonicamente intesa.
La sua prospettiva ha, in questo senso, anche un connotato politico di spunto gramsciano, nell’interesse per la letteratura popolare, e cioè per quel genere di scritti che comunicano e si rivolgono direttamente alle classi subalterne, tema che ha significato un grande punto di rottura con il passato. In particolare appunto con quel passato che non considerava tali opere come possibili oggetti di analisi e studi approfonditi, in quanto mancanti di quei connotati specifici che per convenzione hanno sempre caratterizzato le opere letterarie “tradizionali”.
In questo senso, quindi, il professor Spinazzola ha lavorato sempre per riportare al centro la dimensione del lettore all’interno della dinamica letteraria-editoriale, ritenendo importante indagare qualsiasi opera di successo, anche e soprattutto quando questi casi si presentavano sotto una forma meno convenzionale di ciò a cui la critica era consueta approcciarsi. I suoi studi infatti assunsero per questo motivo una valenza quasi militante, fortemente provocatoria rispetto a quello a cui la critica degli anni ’60/’70 stava lavorando muovendosi all’interno di una prospettiva d’analisi più semiotica-strutturalista.
L’eredità che il professore lascia all’Università Statale di Milano è già evidente all’interno del panorama della didattica, che si fa senz’altro portabandiera della lezione dello studioso, dando spesso e volentieri ampio spazio all’approfondimento della letteratura di consumo sotto vari punti di vista e cercando di presentare il panorama letterario il più possibile completo della sua eterogeneità.
Le riflessioni portate avanti dallo studioso in questi anni hanno un valore fondamentale nel contesto dell’insegnamento, e più in generale dell’approfondimento di un ambito come quello letterario; ma la sua lezione è senza dubbio imprescindibile più in generale, come prospettiva di studio di vari ambiti, anche al di là della letteratura stessa.
Un insegnamento di approccio estremamente aperto e democratico, e di come questo modo di porsi veicoli risultati molto più di valore rispetto alla chiusura in classi esclusive di dibattito.