La crisi causata dal Coronavirus ha fatto emergere diversi aspetti critici nella gestione politica e amministrativa delle emergenze. In particolare, il momento più grave dello scontro tra governo e regioni è stato martedì 25. Durante la Conferenza Stato-Regioni — un organo stabile che riunisce governo e presidenti delle regioni — il governatore lombardo Attilio Fontana (Lega), collegato in video, ha reagito con durezza ad alcune osservazioni esposte da un tecnico nei confronti della gestione della crisi da parte dell’ospedale di Codogno.
«Con che coraggio attacchi medici e infermieri!», ha esclamato prima di alzarsi e abbandonare la riunione. Poco dopo, grazie a una mediazione del ministro della Difesa, il lodigiano Lorenzo Guerini (Pd), Fontana è ritornato al tavolo. Secondo una ricostruzione pubblicata da La Stampa, invece, il premier Conte avrebbe richiesto con fermezza che le regioni si uniformassero alle direttive del governo e non procedessero in ordine sparso nell’adozione di misure straordinarie: di fronte a questa posizione Fontana avrebbe reagito con ancora maggiore violenza, arrivando all’offesa personale.
Al termine della Conferenza Conte ha infine annunciato l’emanazione di un’ordinanza per le regioni non coinvolte direttamente dal contagio. Gli attriti tra Conte e la giunta lombarda, del resto, erano cominciati già il giorno prima. Il premier aveva espressamente criticato «un ospedale che non ha osservato determinati protocolli», scatenando l’ira dell’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera (Forza Italia), che aveva commentato: «Una dichiarazione da parte di una persona ignorante».
Anche con la regione Marche sono volate scintille. Lunedì 24, nel corso della conferenza stampa con la quale il governatore Luca Ceriscioli (Pd) annunciava la chiusura delle scuole — nonostante nella regione non si fossero ancora registrati contagi — è arrivata la chiamata telefonica del premier Conte, che ha chiesto (o intimato?) al presidente di sospendere l’ordinanza che stava annunciando. La surreale scena ha avuto anche strascichi ben più pesanti, poiché il giorno dopo Ceriscioli ha emanato comunque un’ordinanza che, tra le altre cose, chiudeva le scuole fino al 4 marzo. Poco dopo il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia (Pd) ha annunciato che il governo avrebbe impugnato l’atto: in effetti, giovedì 27 il Tar (Tribunale Amministrativo Regionale) delle Marche ha accolto il ricorso del governo e ha sospeso l’ordinanza.
Sembra proprio che regioni e governo non siano in grado di convivere nemmeno nel mezzo di una grave emergenza.
In effetti la ripartizione delle competenze tra Stato e regioni rappresenta un problema annoso. La contestata riforma costituzionale del 2001, infatti, ampliò le competenze regionali: questa scelta arrivava sull’onda del successo della Lega Nord, che era allora un partito ancora federalista e (a tratti) secessionista, che aveva spinto il centro-sinistra al governo a sposare alcune idee e proposte federaliste. Il federalismo all’italiana presentò però fin dall’inizio diversi aspetti critici. La cosiddetta “riforma del Titolo V”, perché il Titolo V della Costituzione fu quello interessato dalle modifiche, introdusse un sistema triplo di ripartizione: alcune materie furono assegnate espressamente alla competenza esclusiva da parte dello Stato, altre invece — quelle residuali — alle Regioni.
Il nuovo articolo 117 della Costituzione, tutt’oggi in vigore, stabilì infine una serie di materie assegnate alla legislazione concorrente: lo Stato provvede a stabilire i principi e le linee guida e le regioni si occupano di dettagliare la normativa. Qualora la regione travalichi i principi enunciati a livello statale, lo Stato può ricorrere alla Consulta per far dichiarare illegittimo l’atto regionale. Si tratta questa di un’eventualità frequente, soprattutto negli ultimi anni.
Tra le materie a competenza concorrente c’è anche la “tutela della salute”.
Il professor Francesco Taroni (UniBo) ha riassunto così sulla Treccani gli obiettivi della riforma:
La riforma bilanciava l’estensione della potestà legislativa concorrente delle regioni al campo della tutela della salute rispetto all’angusta competenza sull’«assistenza sanitaria e ospedaliera» dell’originario art. 117 Cost. con il vincolo del rispetto dei principi fondamentali del SSN (Sistema Sanitario Nazionale, n.d.a.) e con la competenza esclusiva statale sulla «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale.
Non fu inizialmente chiara la portata di questa disposizione, anche perché l’assistenza sanitaria e ospedaliera non sempre combacia con la tutela della salute, che può avere una portata indefinita. Inoltre, tra le materie assegnate esclusivamente allo Stato figura quella della “profilassi internazionale”: evidentemente le due materie — salute e profilassi – possono sovrapporsi.
Nel tempo è emersa però, con il susseguirsi di pronunce della Consulta che hanno chiarito i confini delle competenze, una linea abbastanza uniforme, per la quale la sanità è gestita con autonomia dalle singole regioni. È infatti noto, a causa delle difficoltà delle stesse regioni di organizzare la sanità all’interno dei vincoli di spesa stabiliti dallo Stato, il ricorrente dibattito sulla differenza delle prestazioni, per esempio tra nord e sud del Paese.
Ad aggravare questo quadro confuso è stata la richiesta avanzata nel 2017 da tre regioni, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna (casualmente le tre più colpite dai contagi di Coronavirus), di avere ancora maggiore autonomia nella gestione di alcune materie, tra le quali la salute. Questa richiesta rientra nella facoltà — il cosiddetto “regionalismo differenziato” — introdotta sempre dalla riforma del 2001 e fino ad oggi mai esercitata da nessuna regione. Al momento il governo e le tre regioni interessate non hanno raggiunto un accordo definitivo, anche perché non sembra scontato che le regioni possano avere maggiori poteri in materia di sanità: come detto, la Costituzione prevede comunque una potestà legislativa in parte statale. Inoltre, va aggiunto che, nel tentativo di armonizzare l’azione dello Stato e delle regioni, ogni tre anni viene siglato un Patto per la Salute che tenta di garantire l’unitarietà del sistema.
Gli squarci di autonomia regionale, però, hanno senza dubbio indebolito l’uniformità del Sistema Sanitario Nazionale.
Si è visto nel corso della crisi che le due parti sono gelose delle proprie competenze. Non appena il premier ha avanzato intempestivamente la proposta di limitare i poteri delle regioni per uniformarne i comportamenti, i governatori si sono opposti.
Conte ha in questa occasione evidenziato le peculiarità della situazione italiana, aggiungendo un elemento nuovo: «Il sistema sanitario in Italia è di competenza regionale e non è predisposto per una emergenza nazionale. Per questo un coordinamento è necessario. Se non siamo coordinati non riusciremo a contenere il virus in modo efficace». In particolare il presidente Fontana ha usato parole dure, giudicando «offensivo» l’intervento del premier, salvo poi ammettere di aver dovuto seguire purtroppo i protocolli del governo. Solo dopo varie trattative si è giunti all’ordinanza di martedì 25.
A causa del carattere straordinario della crisi già venerdì 21 era stata emanata un’ordinanza per i cosiddetti comuni focolaio del lodigiano, seguita il 23 febbraio da un’altra ordinanza per tutta la regione Lombardia. Questi atti, come riporta l’intestazione, sono adottati dal Ministero della Salute “d’intesa” con il Presidente della Regione. Com’è evidente, questa formula è una soluzione al carattere emergenziale della vicenda e alle previsioni della normativa costituzionale. Quest’ultima ordinanza prevedeva, tra le altre cose: la sospensione di manifestazioni ed eventi; la chiusura delle scuole, dei musei e dei teatri; la chiusura dei bar dopo le 18. La Regione Lombardia ha poi pubblicato un decreto esplicativo e di dettaglio di questa ordinanza.
Le difficoltà nel gestire la crisi sono dunque figlie di un problema sistemico del nostro Paese. Stato e regioni si riducono spesso a litigare per strapparsi a vicenda un pezzo maggiore di competenze. E l’hanno fatto anche di fronte al Coronavirus, con toni scomposti e poco rassicuranti.