Del: 20 Marzo 2020 Di: Giulia Ghirardi Commenti: 0
Marina e Ulay, un amore divenuto arte

Ci sono storie abbandonate, storie da incontrare, storie vissute e storie da raccontare. Ci sono storie che si dimenticano ed altre che hanno il potere di vivere per sempre nei ricordi di qualcuno. Per una di queste storie, è bene partire dall’epilogo: una fine che ha avuto la straordinaria forza di consacrare un inizio che dura tutt’ora. Questa è la storia di 21.196.180 m, 22.000.000 passi. La lunghezza della Muraglia Cinese, una lunghezza che affonda le sue radici in un tempo molto antico. Ma è anche la lunghezza di un amore, dirompente e straordinario, un amore che, distruggendo ogni senso del tempo, è diventato arte. Questa è la storia infinita di Marina e Ulay.

Marina Abramovic e Frank Uwe Laysiepen nascono entrambi il 30 novembre, a 1500 km di distanza, ma in anni diversi: lui nel 1943, figlio di un gerarca nazista; lei nel 1946 a Belgrado, da genitori partigiani. Si conoscono ad Amsterdam immersi tra l’arte e la vita della Galleria de Appel. Era il 1976. Lei era una giovane artista, lui un ex ingegnere con la vocazione per l’arte.

Iniziano così la loro vita insieme, una vita votata all’arte, come un lungo omaggio al luogo del loro primo incontro. Si tratta del periodo più bello delle loro vite, fatto di viaggi per l’Europa e del loro “movimento permanente”, come lo chiameranno più tardi. Muniti nient’altro che di idee, sogni e di un camper che è per loro casa, studio ed unico mezzo di trasporto, vivono senza soldi, cibo, né acqua corrente.

Da questa esperienza nasce il sentimento del loro manifesto artistico: nessuna regola, nessun limite, nessuna replica.

L’arte è viva. L’arte è vita e il suo obiettivo deve essere quello di esplorare i limiti umani: la vulnerabilità della forza dell’uomo. Il concetto di arte diventa così inevitabilmente vivo. Diventano arte le urla fino allo svenimento e i capelli intrecciati. Performance che, come funamboli incuranti e selvaggi, ballano sulle punte lungo fili che delimitano la possibilità delle nostre azioni.

Ecco che quindi i loro nomi diventano sinonimi di Performance Art, quel movimento artistico che ritrova le sue origini tra i tavolini dei locali europei di inizio ‘900 dove attori, pittori e poeti della vita bohémien chiedevano di potersi esprimere liberamente. In particolare, è il Cabaret Voltaire di Zurigo il luogo dove si ritrovano le origini dell’arte performativa, e che diventa la casa di esibizioni che distruggono ogni canone della tradizione artistica, affermandosi come una provocazione irripetibile. Solo negli anni ’70, tuttavia, viene riconosciuto ufficialmente come movimento artistico e, a consacrarlo, sono proprio Marina e Ulay, la coppia d’arte.  

Breathing in /Breathing out è uno di questi fili su cui la coppia danza sfidando la stessa natura umana. Marina e Ulay, infatti, serrano le loro bocche l’una con l’altra, tappandosi le narici con filtri di sigarette, e respirano l’aria espulsa dall’altro per 17 lunghi minuti, fino a quando cadono a terra, avvelenati dall’anidride carbonica emessa dall’altro. Vincitori e vinti allo stesso tempo.

Nel 1977 è la volta di Imponderabilia, l’esibizione cui danno vita all’ingresso della Galleria d’Arte Moderna di Bologna. I due artisti si posizionano l’uno di fronte all’altra all’ingresso della Galleria, completamente nudi, costringendo il pubblico a passare tra i loro corpi. Ulay spiegò così il senso dell’azione: «Questo è il gioco di Imponderabilia: in un secondo devi prendere una decisione, ancora prima di poter comprendere perché». Dopo circa un’ora dall’inizio della performance, la polizia fece irruzione e interruppe l’evento. Ritenuta oscena per la nudità dei loro corpi, la performance fu definita «audace e intelligente» dalla critica, mentre nelle loro menti essa costituiva una lotta contro la vergogna e il pudore sociale.

Ma è con Rest Energy che Ulay e Marina cercano di dimostrare che la forza della loro arte, e quindi del loro amore, sta nel viverlo fino all’estremo per arrivare alle emozioni più profonde della sensibilità umana. Il gesto è semplice e disarmante: lui tende un arco e lei vi si aggrappa. Il baricentro di entrambi si annulla e a tenerli in piedi è la sola resistenza dell’arma che li unisce e li separa allo stesso tempo. Incoccata c’è una freccia, vera, affilata, che punta al cuore di lei, i cui battiti vengono registrati con un microfono: battiti di vita, di adrenalina, stanchezza ed eccitazione. Un cedimento e lei potrebbe morire. La performance dura quattro minuti, infiniti per lei, che rischia la vita, ed interminabili per lui, che potrebbe ucciderla.

L’arte è una metafora estrema: l’amore è un’arma nelle mani di entrambi.

Lavorano insieme per dodici anni, prima di giungere a percorrere a piedi quei 22.000.000 passi miracolosi e dissacranti. Passi in cui consacrano il loro amore percorrendo a piedi l’intera Muraglia Cinese. Un’ultima eterna passeggiata di 90 giorni verso la propria metà, prima di abbandonarla per sempre. L’incontro, decisero, sarebbe avvenuto a metà strada: a metà, come quello che erano stati in vita prima di incontrare l’altro diventando finalmente unità, per vivere veramente.

I due artisti riescono così a rendere la loro separazione il loro ultimo grande capolavoro, The Lovers: The Great Wall Walk. Quest’opera segna la fine di un amore che ha cercato di rendersi libero in tutti i modi concessi alle potenzialità umane; è la fine di un amore tanto intimo che grazie alla sua profondità è riuscito a rendersi universale e condiviso con il mondo intero.

Per ventitré anni non si contattano più, né di persona, né per lettera, né a due capi del telefono. Tale silenzio dura fino alla performance The artist is present, organizzata da Marina al Moma di New York nel 2010. L’esibizione costringe la donna a rimanere seduta per 7 ore al giorno davanti a una sedia vuota dove per due minuti ciascun visitatore si può sedere per guardare in silenzio l’artista. Ed è proprio quella sedia vuota che diventa il luogo di ricongiungimento dei due amanti.

Lei ha gli occhi chiusi. Quando li riapre c’è lui: Ulay. Non appena lo vede comincia a piangere, lacrime silenziose le increspano un sorriso. Non può muoversi. Distruggerebbe l’esibizione. Sono di nuovo uno di fronte all’altro. Il pubblico applaude. Ma loro non sentono. Sono persi uno negli occhi dell’altro, si stanno toccando. Passano due minuti. Lui se ne va e lei richiude gli occhi.

Così questa è la storia dei più liberi degli spiriti, provocatori e sognatori inarrestabili; due animi affini che hanno avuto la fortuna di incontrarsi, d’amarsi, di sognare il futuro e di metterlo in atto, rivoluzionandolo con la loro indomabile e incontrastabile passione, riuscendo a mostrare la realtà non per quella che è ma per quella che potrebbe infinitamente essere. E in queste infinite possibilità, indagando la profondità degli istanti e dell’agire umano, si sono sacrificati e sono morti l’uno negli occhi dell’altra. Cosa è successo poi? È successa l’arte.

Giulia Ghirardi
Scrivo quello che non riesco a dire a parole. Amo camminare sotto la pioggia, i tulipani ed essere sorpresa. Sono attratta da chi ha qualcosa da dire, dall'arte e dalle emozioni fuori luogo. Sogno di vedere il mondo e di fare della mia vita un capolavoro.

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