Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio in quel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate la scorsa puntata.
A tutti è capitato, o capiterà, di fare un viaggio in un altro Paese, e non è detto che questi abbia come moneta l’euro. Ci si scontrerà allora con il grande problema del cambio di valuta e in molti si saranno chiesti perché non si può decidere di far avere lo stesso valore a tutte le valute. Per sciogliere questo dubbio per prima cosa bisogna capire come funziona il cambio di valuta.
Il valore di una moneta, innanzitutto, è dato da una molteplicità di fattori, tra cui alcune consuetudini storiche. Non si può infatti parlare di valore di moneta senza citare la sua storia. Senza ripercorrere passo per passo la sua storia più antica, basterà sapere che essa è stata preferita al baratto perché permise di assolvere a tre funzioni fondamentali: quella di mezzo di pagamento, unità di conto (ossia gli oggetti assumono un prezzo) e di riserva di valore.
Con l’avvento delle banconote come corrispettivo di una determinata quantità di oro nasce il Gold Standard, o Sistema Aureo. Questo sistema aveva tuttavia un grande limite: non si poteva procedere alla stampa di denaro se non si possedeva il corrispettivo in oro. Questa limitazione della crescita economica apparve chiara con la Prima Guerra Mondiale, quando le spese furono davvero insostenibili e la stampa di nuova moneta si rese necessaria.
Il cambio di sistema si ebbe con gli accordi di Bretton Woods (1944), dove si decise di adottare un nuovo sistema, il Gold Exchange Standard, per cui si stabilì che tutte le valute sarebbero state agganciate al dollaro statunitense, il quale rimase l’unico collegato con la disponibilità aurea. Il problema del Gold Standard chiaramente non era superabile in questa maniera, era necessario sganciare ogni valuta dal metallo prezioso.
Per questo motivo nel 1971 si passò al Sistema dei cambi fluttuanti, il nostro sistema.
Secondo questo modello, il valore della moneta dipende da due fattori: l’economia degli Stati con i quali si intrattiene la relazione economica e la fiducia che si ripone in essi. Questi fattori sono principalmente legati all’inflazione e agli equilibri tra domanda e offerta che si vengono a creare tra i Paesi che intrattengono lo scambio.
Per quanto riguarda l’inflazione il ragionamento è semplice: se infatti in un Paese aumentano molto i prezzi, il valore di quella moneta diminuisce perdendo potere d’acquisto e, in questa maniera, vale meno anche rispetto alle altre monete. Domanda e offerta, invece, se non adeguatamente equilibrate svantaggeranno il Paese che ha un’offerta eccessiva di moneta, la quale verrà svalutata rispetto all’altra.
Diventa di estrema importanza a questo punto definire il tasso di cambio. Questo numero esprime il valore di una valuta in rapporto con l’altra, in parole povere è quanto costa la moneta straniera. Il calcolo è piuttosto semplice, si tratta di un’elementare divisione tra una valuta base (numeratore) e una valuta quotata (denominatore), il risultato che si ottiene è la quantità di valuta quotata necessaria per acquistare un’unità di valuta base. Il tasso di cambio è comunque un concetto molto complesso, che coinvolge una pluralità di teorie.
Per tornare ai dubbi iniziali, è chiaro a questo punto che il cambio di valuta, e il valore che essa assume, dipende da una pluralità di fattori e, soprattutto, dal sistema con il quale si è deciso di gestire questi cambi. Con il Sistema dei cambi fluttuanti ovviamente le monete avranno valori differenti, e questi valori cambieranno rapidamente nel tempo con il tasso di cambio, legato a variabili economiche come inflazione, domanda e offerta.