
Da diversi anni ormai una laurea in lettere, beni culturali, storia, filosofia e via dicendo è da molti considerata un sinonimo quasi certo di precariato o, per i più cinici, di disoccupazione.
Il 13 agosto 2015 un articolo del Fatto Quotidiano, redatto da Stefano Feltri, recitava che è giusto studiare ciò che si ama “soltanto se si è ricchi e non si ha bisogno di lavorare”, con particolare riferimento proprio alle discipline umanistiche. Ma è davvero così?
Chiaramente le facoltà che rientrano in quelli che sono definiti come Studi Umanistici non rappresentano il settore lavorativo emergente di questi ultimi tempi, in cui sono stati protagonisti altri indirizzi come l’informatica, l’ingegneria, la chimica e la medicina.
Basta dare un occhio alle statistiche riportate da AlmaLaurea sull’attuale tasso di occupazione dei neo umanisti per rendersi conto di come a ingegneri, medici e chimici, sia riservata una prospettiva lavorativa molto più rosea.
Non esiste studente in una qualsiasi delle discipline umanistiche che non sia consapevole dell’incertezza lavorativa che il suo corso di studi porta con sé.
È, anzi, proprio questa imprevedibilità uno dei punti di forza dell’umanista, che deve saper inventare e inventarsi a seconda delle opportunità che gli vengono offerte. L’esempio più lampante è Sergio Marchionne che, laureato in filosofia presso l’Università di Toronto, è finito per diventare uno dei più brillanti imprenditori italiani degli ultimi tempi.
Inutile quindi che ingeneri ed economisti storcano il naso davanti a un letterato: giudicare l’utilità e l’importanza di una disciplina dalla promessa di uno stipendio alto e di un impiego fisso è quanto meno riduttivo.
Lo pensa anche Martha Nussbaum, professoressa di Law and Ethics all’Università di Chicago e autrice di una vasta ed eclettica serie di opere che hanno conquistato il mondo filosofico contemporaneo. Nel suo libro Not for profit: why democracy needs the humanities, edito nel 2010, Nussbaum spiega il valore intrinseco delle discipline umanistiche, ossia quello di formare individui e non semplici tasselli di un mercato lavorativo che punta solo sul reddito, cittadini in grado di riflettere e istituire un prezioso confronto tra il passato e i tempi moderni.
In una società in cui il denaro è tutto, la cultura non deve arrendersi alla fatalità di uno stipendio basso o alla paura di non trovare un impiego, ma piuttosto costituirsi come valida alternativa alla sempre più spietata corsa al profitto che contraddistingue i giorni nostri.
Non a caso nel modello universitario canadese è previsto l’insegnamento della filosofia in tutti gli indirizzi di studio, anche quelli tecnologici e scientifici, proprio al fine di garantire agli studenti non solo conoscenze specifiche nel loro ambito di interesse, ma anche una consapevolezza etica e morale del loro ruolo nella società.
Ma l’utilità degli Studi Umanistici non si esaurisce qui. Il rapporto annuale Excelsior di Unioncamere sulle previsioni del fabbisogno lavorativo e professionale a medio termine in Italia propone uno scenario in cui, entro il 2023, il settore umanistico occuperà il 22% del fabbisogno totale di nuovi laureati, secondo solo all’ambito economico-sociale.
Al di là dell’ondata di imprevedibilità che inevitabilmente colpirà il mercato del lavoro mondiale a seguito della pandemia in corso, questo dato dimostra che un certo interesse verso la cultura delle Umanae Litterae non è del tutto sepolto, e che il mondo del lavoro è ancora pronto a investire nel sapere, nella formazione e nell’informazione.
Lo sottolineano anche i diversi programmi e iniziative culturali che si avvicendano in televisione da molti anni ormai e che continuano a essere rinnovati e seguiti: dalla romantica lettura dell’Infinito di Leopardi per i suoi primi 200 anni all’istituzione del Dantedì per celebrare l’inizio del viaggio ultraterreno del sommo poeta, dalle rubriche culturali dei telegiornali ai molti programmi di Alberto Angela che raccolgono sempre un gran numero di adesioni – si spera non solo per il fascino del conduttore.
Inutile ricordare, poi, che viviamo in un paese in cui la storia, l’arte e la letteratura si sono costituite come colonne portanti di una bellezza che non trova eguali nel mondo e che merita, quindi, di essere conosciuta e approfondita.
In questa società, in questo bellissimo paese e soprattutto in questi tempi in cui l’economia ha monopolizzato gli interessi è, dunque, necessario che alle scienze umanistiche sia riconosciuto il giusto peso nella formazione di una civiltà più libera e più consapevole di sé.
E allora forza cultura, non mollare!