Del: 10 Aprile 2020 Di: Michele Pinto Commenti: 2

Il 30 marzo il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha compiuto un ulteriore passo verso la creazione di uno stato illiberale e autoritario. Infatti, il parlamento magiaro ha concesso al governo, a fronte dell’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del Coronavirus, la possibilità di governare per decreto a tempo indeterminato. Di conseguenza, l’attività parlamentare è stata sospesa. Inoltre, è stata prevista la pena della detenzione in carcere fino a cinque anni per chi diffonde false informazioni in grado di ostacolare la risposta del governo all’emergenza legata alla pandemia.

La legge è passata con 137 voti a favore e 53 contrari. Gli emendamenti presentati dalla sparuta minoranza parlamentare, finalizzati a porre un limite temporale a queste misure, sono stati respinti. Un rappresentante di Fidesz,  il partito di Orbán, ha scritto su Twitter dopo il voto che il governo continua a lottare contro il Coronavirus, mentre, “purtroppo i partiti di opposizione non supportano questa lotta”. Vari portavoce del governo hanno giustificato le misure presentandole come risposta d’emergenza a una situazione da “stato di guerra”. Ad oggi, l’Ungheria ha registrato ufficialmente 895 contagi e 58 morti e il governo ha imposto una parziale quarantena, sconsigliando ai cittadini di lasciare le proprie abitazioni per attività non essenziali.

Negli ultimi giorni sono emerse evidenze sulla gestione inappropriata della crisi da parte del governo ungherese. Secondo alcune testimonianze i test sarebbero stati limitati per contenere le cifre del contagio e le autorità, in ogni caso, si sarebbero mosse con troppo ritardo.

Secondo quanto ha scritto Politico Europe queste nuove misure potranno essere rimosse solo con un voto parlamentare a maggioranza dei due terzi e con l’approvazione del presidente. Il timore è che lo stato d’emergenza venga prolungato sine die, in modo da consentire a Orbán di operare un rafforzamento definitivo del potere del governo rispetto al controllo politico e sociale del paese.

Da alcuni anni l’Ungheria è al centro di un progressivo abbandono dello stato di diritto e delle garanzie liberali. Orbán è al potere ininterrottamente dal 2010 e, negli ultimi anni, ha fatto approvare varie leggi restrittive: ha previsto che i ritrovi di due persone possono essere considerati manifestazioni politiche, ha indagato su parlamentari dell’opposizione che avevano contestato la forte censura imposta alla televisione di stato, ha creato un sistema parallelo di tribunali, sotto il controllo del governo e con poteri molto ampi, ha escluso i sindacati dalle contrattazioni sindacali, ha approvato leggi discriminatorie e punitive nei confronti di migranti, rom, musulmani ed ebrei, ha accentuato il controllo sui media spingendo imprenditori a lui vicini ad acquistare giornali locali e nazionali. La rivista svizzera Das Magazin ha raccontato l’incredibile storia della criminalizzazione di George Soros, un tempo finanziatore di Fidesz, trasformato in un nemico del popolo ed esposto a una violentissima campagna governativa.

Le limitazioni alla libertà di stampa, la violazione costante di leggi e principi e le restrizioni alla libera competizione elettorale sono in linea con l’idea di “democrazia illiberale” più volte espressa dallo stesso Orbán. 

L’Ungheria è un paese membro dell’Unione europea. Di fronte a violazioni talmente evidenti dei valori dell’Unione e dei principi espressi nei Trattati fondativi, nel settembre 2018 il Parlamento europeo ha richiesto con una storica quanto inedita mozione che si aprissero le procedure previste dall’articolo 7 del Trattato sull’Unione europea, la cosiddetta “opzione nucleare”. Questa clausola, se attivata completamente, può portare  fino alla sospensione del diritto di voto del paese in oggetto in sede comunitaria. Ad oggi il voto del Parlamento, pur fortemente simbolico, è rimasto lettera morta: il Consiglio europeo — l’organismo che riunisce capi di stato e di governo e al quale compete il successivo passo — è rimasto inerte. Nel marzo 2019, inoltre, il Partito popolare europeo ha sospeso Fidesz a causa delle leggi illiberali che ha approvato.

Dopo le misure ungheresi di fine marzo l’Unione ha protestato molto blandamente. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha dichiarato che “è di estrema importanza che le misure d’emergenza non danneggino i nostri valori e principi fondamentali previsti nei Trattati. La democrazia non può funzionare senza media liberi e indipendenti”. Il comunicato è stato oggetto di critiche perché non menziona espressamente né Orbán né il governo ungherese. Daniel Kelemen, un professore di Diritto dell’Unione europea alla Rutgers University ha detto al New York Times che “nella sua opera di consolidamento del potere, Orbán ha fatto affidamento sul fatto che l’Unione fosse preoccupata da altre crisi. Ma adesso la gravità dell’attuale crisi richiede un rafforzamento del potere dell’esecutivo e ciò gli dà maggiore spazio per il livello successivo dell’escalation”.

Il burrascoso rapporto tra l’Ungheria e l’Unione — confermato il 2 aprile dalla Corte di Giustizia dell’Ue, che ha condannato l’Ungheria, la Polonia e la Cechia per non aver rispettato l’accordo di ricollocamento dei migranti deciso nel 2015 — si inserisce in un quadro globale preoccupante.

Molti media internazionali hanno evidenziato come la pandemia stia favorendo molti governi che intendono rafforzare il proprio potere.

Non ci sono solo le pesanti situazioni in Polonia e in Israele. Il New York Times ha scritto che “mentre la pandemia da Coronavirus porta il mondo a una brusca frenata e cittadini ansiosi pretendono risposte, vari leader mondiali stanno ottenendo poteri crescenti e virtualmente dittatoriali con scarsa opposizione”. Il Coronavirus è una sfida anche per le democrazie e il liberalismo: l’Ungheria di Orbán, dalla fine di marzo, lo dimostra perfettamente.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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