
L’inquinamento particolato ha agevolato la diffusione del coronavirus. È quanto leggiamo in questi giorni sulle principali testate nazionali che riportano lo studio condotto dalla Società Italiana di Medicina Ambientale. Arpa Lombardia (l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) scrive nella sua analisi sulla qualità dell’aria al 3 aprile che i livelli di pm10 non sarebbero infatti diminuiti in modo omogeneo durante il lockdown, a causa di molteplici fattori, nonostante si riscontri un miglioramento generale delle condizioni di salute dell’aria. Ad oggi il problema dell’inquinamento, soprattutto in relazione allo sviluppo di malattie – innanzitutto tumori, in questo caso virus epidemici – costituisce una minaccia ogni giorno sempre più evidente.
Era il 1958 e sulla rivista Nuovi Argomenti appariva un nuovo racconto di Italo Calvino, ai tempi scrittore e giornalista già piuttosto conosciuto, intitolato La nuvola di smog. La vicenda ruota attorno alla problematica ambientale: una nuvola di smog gravita sulla città in cui vive il protagonista facendo sì che polvere e sporcizia pervadano ogni cosa, insudiciando stanze, vestiti, muri e strade. Da parte sua, l’uomo si è stabilito nella città per aver accettato un lavoro da giornalista pubblicista presso La Purificazione, rivista dell’ente per la purificazione urbana e dei centri industriali, l’EPAUCI.
Qui il suo compito è soprattutto quello di scrivere l’articolo di fondo per conto del capo; compito che si rivelerà estremamente complicato da realizzare a causa di alcune divergenze di pensiero. D’altro canto, proprio questo incarico contribuirà a rendere il protagonista più consapevole dell’inquinamento in cui vive: grazie ad esso scoprirà infatti che il suo capo, il direttore della rivista, allo stesso tempo veste i panni del direttore dell’industria più inquinante della città. Infatti, nonostante il nostro giornalista si occupi per lavoro di ambiente e inquinamento e viva quotidianamente nella sporcizia più totale, prenderà veramente consapevolezza dell’esistenza della nuvola di smog solo nell’occasione di una gita in collina, dalla quale è possibile osservare la nuvola ad occhio nudo.
In questo racconto Italo Calvino riflette sul lato oscuro del miracolo economico che si stava compiendo in quegli anni nel nostro paese.
Se negli anni ‘50 «l’esempio di maggior successo è probabilmente quello dell’industria metallurgica» (Giovanni Federico e Renato Giannetti, Le politiche industriali, in Storia d’Italia, Annali XV: L’industria, Torino, Einaudi, 1999) è davvero significativo che nel racconto l’industria più inquinante della città abbia a che fare proprio con la polvere di ghisa utilizzata in metallurgia, e in particolare in siderurgia. L’autore pone l’accento sul prezzo da pagare a fronte di una massiccia industrializzazione del paese ben prima che la problematica ambientale fosse tema dibattuto nell’opinione pubblica. Ma soprattutto ben prima che la Iarc (l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) classificasse l’esposizione al ciclo produttivo della ghisa come fattore di rischio del gruppo uno, ossia con un potenziale di cancerogenità certa.
Come spesso si è detto, La nuvola di smog non è però solo un racconto ambientalista. Spostandoci da un’interpretazione più letterale a una più allegorica, capiamo infatti che la nuvola è simbolo del male di vivere cui ci espone la nuova società urbana e industrializzata, che si fonda sul trauma della perdita del rapporto con la natura. Il racconto pone in grande evidenza le risposte degli uomini a questa condizione di ingrigimento: le stesse risposte che ancora oggi diamo, o cerchiamo, giorno per giorno.
Il protagonista, toccando sempre più il problema con mano, giunge ad una condizione di infelicità quasi depressiva, unita a un profondo senso di sfiducia nel cambiamento e di desiderio di pulizia; al contrario Claudia, la donna da lui amata, si rivelerà incapace di accorgersi dell’esistenza della nuvola di smog o piuttosto l’unica in grado di vedere i colori del mondo oltre alla nuvola grigia, cioè ciò che di buono ha prodotto, e dunque porta con sè, la nostra civiltà. Questa sua attitudine al bello sembra per certi versi salvarla, dal momento che lo scrittore la elegge a unico personaggio felice della vicenda.
Forse Calvino suggerisce che una direzione alternativa è possibile, ma solo se inizieremo a guardare alle possibilità, piuttosto che ai limiti, del nostro mondo.
Ben più ambigua è la figura del dottor Cordà, alla testa sia della più grande industria cittadina sia dell’ente pubblico ambientalista. Quasi simbolo vivente dell’ipocrisia, l’uomo idealmente è in prima linea nella guerra alla polvere ma nella pratica agisce nei suoi confronti da alleato, alimentando quotidianamente l’inquinamento che la genera. Il capo non sembra insomma percepire la gravità della situazione, che lo coinvolge in primis come abitante; o più probabilmente, l’interesse economico lo costringe a sacrificare i suoi ideali fino a non accorgersi più della presenza della nuvola. È il paradosso di chi sente e alimenta il proprio male di vivere, in un corto circuito senza uscita.
Infine, un ruolo centrale all’interno del racconto è quello assunto dalla stampa e dall’opinione pubblica. È scritto nelle ultime pagine: «Feci un numero de La Purificazione in cui non c’era articolo che non parlasse della radioattività. Neanche questa volta ebbi seccature. Che non fosse letto però non era vero (il non venire letto era l’unica risposta che il protagonista sapeva darsi, dal momento che stranamente non era stato censurato, ndr); leggere, leggevano, ma ormai per queste cose era nata una specie d’assuefazione, e anche se c’era scritto che la fine del genere umano era vicina, nessuno ci badava. Anche i settimanali d’attualità portavano notizie da far rabbrividire, ma la gente sembrava prestar fede solo alle fotografie a colori di ragazze in copertina.»
Motivo per cui, nonostante questo e molti altri articoli simili continueranno ad essere pubblicati e letti, difficilmente riusciranno ad avere un reale impatto sulle nostre coscienze.