Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio in quel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate la scorsa puntata.
Negli ultimi giorni è stato nominato molto, e sempre associato a parole come “crisi” e relativi sinonimi. Ma cos’è il PIL? Perché viene nominato così spesso? Ma soprattutto, cosa comporta, a livello pratico, questa sua temutissima riduzione?
La sigla sta a significare Prodotto Interno Lordo, e costituisce uno degli indicatori principali della ricchezza di un Paese. Per i più curiosi riguardo l’origine del concetto di PIL, esso venne teorizzato da Adam Smith nel 1776, nella sua opera “La ricchezza delle nazioni”. Viene definito “interno” perché considera tutto ciò che viene prodotto all’interno del paese: non viene quindi calcolato quanto prodotto dalle aziende italiane su suolo straniero, che è invece inserito all’interno di un altro indicatore, il PNL (Prodotto Nazionale Lordo). Si utilizza il termine “lordo” in quanto esso viene calcolato al lordo, per l’appunto, degli ammortamenti, ossia dei procedimenti per cui il costo di beni dalla durata pluriennale viene distribuito su più attività (se li sottraiamo otteniamo il PIN, il Prodotto Interno Netto).
Il fatto che il PIL tenga conto del prezzo del bene finale, e non dei costi delle singole componenti (ad esempio, parlando di un’impresa automobilistica considererò ai fini del PIL la macchina nella sua interezza, non i vari pezzi, altrimenti il valore del bene verrebbe raddoppiato), impone di compiere un’importante distinzione, fondamentale in economia: quella tra costi e prezzi. Si intende per prezzo il valore di scambio del bene, per renderla più semplice, quanto si paga il bene finito; il costo, invece, è la spesa che il produttore deve sostenere per disporre di qualcosa di necessario (sia esso un terreno, della strumentazione, ecc.…) alla produzione del bene che desidera vendere. I due termini vengono spesso usati come sinonimi, ma bisogna stare molto attenti a non confonderli quando si parla di economia.
Tornando al PIL, bisogna evidenziare che nella stima, della quale si occupa l’Istat per l’Italia, non tiene conto dell’economia illegale, ma considera l’economia sommersa. Le due sono differenziate dal fatto che la prima si riferisce ad attività proibite dalla legge, la seconda definisce il cosiddetto lavoro nero.
Spesso il PIL viene associato ad un ulteriore indicatore, il PIL pro capite: il PIL viene cioè “diviso” per la popolazione per stabilire il grado di benessere di quest’ultima.
È necessario sottolineare che, la ricchezza non è distribuita in maniera omogenea, ovviamente, quindi questo indicatore costituisce una stima puramente indicativa.
All’interno del concetto di PIL è poi possibile fare un’ulteriore distinzione tra PIL nominale e PIL reale. Il PIL nominale si ha quando consideriamo i beni e i servizi nel prezzo dell’anno corrente, il PIL reale nel caso in cui i prezzi rimangano costanti rispetto all’anno di riferimento. Spiegato in questa maniera la comprensione può risultare non immediata, con un esempio potrebbe essere più semplice: tornando all’azienda automobilistica presa ad esempio precedentemente, immaginiamo che nel 2018 abbia prodotto 100 automobili vendute poi a 20.000 euro, il PIL nominale per l’anno 2018 è quindi 100×20.000 = 2.000.000; nel 2019 la stessa azienda produce 80 automobili e le vende a 23000 euro, adesso si sa che il PIL nominale sarà pari a 1.840.000. Il PIL reale a questo punto, se prendiamo come riferimento il 2018, sarà pari a 2.000.000 rispetto al 2018, e a 80×20.000 = 1.600.000 nel 2019.
In questo esempio il calcolo del PIL è banalizzato, non proprio economicamente corretto. Se si vuol calcolare il PIL in maniera rigorosa di può scegliere tra tre modalità, abbastanza complesse, che in maniera semplificata sono:
- Metodo della spesa: consiste nella somma tra i consumi, gli investimenti privati, la spesa pubblica dello Stato, a cui si aggiunge la differenza tra il totale delle esportazioni e il totale delle importazioni (esportazioni nette);
- Metodo del valore aggiunto: detto anche metodo della produzione, è quello adottato dall’Istat, tiene conto del valore di beni e servizi prodotti dalle imprese, calcola quindi per ogni impresa la differenza tra valore della merce prodotta e spesa sostenuta per produrla;
- Metodo dei redditi: è dato dalla somma delle varie tipologie di reddito (da lavoro, da capitale, imposte indirette nette, ecc..).
Passiamo ora agli effetti delle variazioni del PIL.
Come evidenziato già più volte, si tratta di una stima, non di un dato certo né di un’immagine precisa e dettagliata della situazione di un paese, anche se certamente ne da un’idea che non è mai troppo lontana dal vero. Il PIL per sua natura è facilmente collegabile all’attività produttiva, un aumento o una diminuzione sono perciò intrinsecamente legati a un relativo aumento, o riduzione, della produzione. Da ciò è chiaro che un decremento del PIL possa essere inteso come un segnale di recessione. Julius Shiskin nel 1975, in un articolo sul New York Times, propose proprio lo studio dell’andamento del Prodotto Interno Lordo su due trimestri successivi, come sistema per stabilire se un Paese è entrato in recessione.
La recessione non è altro che una fase del ciclo economico (l’alternanza tra fasi di espansione e recessione, appunto) nella quale un paese non è più in grado di sfruttare pienamente la propria capacità produttiva: questa situazione può avvenire ad esempio perché la domanda di un determinato bene diminuisce. Storicamente si può ricordare la “Grande Recessione” del 2008, caratterizzata proprio da un’ampia riduzione del PIL.
Recessione, quindi diminuzione della produzione, che porta a una diminuzione dei posti di lavoro, la quale conduce a un’ulteriore diminuzione della domanda, senza calcolare poi l’impatto sui mercati finanziari, che perdono fiducia e tendono a non investire in quel determinato Stato. Potrebbe sembrare un cane che si morde la coda, ma uscire dalla recessione è possibile (ad esempio incentivando investimenti da parte delle imprese, adottando soluzioni che stimolino la domanda), altrimenti non sarebbe possibile l’esistenza del ciclo economico. Ci sono diverse teorie sulle modalità per uscire da questa situazione, nessuna delle quali può definirsi universalmente efficace e corretta, bisogna quindi cercare di trovare un equilibrio tra le differenti possibilità.
Il PIL, dunque, riveste un ruolo di fondamentale importanza per l’economia dello Stato, sia al suo interno che nei rapporti con l’estero, appare quindi chiaro il perché delle recenti preoccupazioni e le motivazioni per le quali un calo del PIL nell’attuale momento storico, nel quale la produzione è così profondamente colpita, sia inevitabile.