Del: 30 Giugno 2020 Di: Caterina Cerio Commenti: 0
Ci siamo “liberati della brava bambina”?

Discriminazioni di genere (e di ogni genere), quali razzismo, omofobia, ignoranza, superficialità, rabbia, violenza indiscriminata contro statue, oggetti e persone, sono ciò di cui sentiamo parlare ormai quotidianamente, tanto che sembrano far parte della normalità.

Dopo il lockdown, molti dicevano che saremmo diventati persone migliori, più disponibili verso gli altri nell’ascoltare i loro bisogni, nel cercare di comprendere la loro situazione, come se aver fatto esperienza di un malessere (se così si può chiamare) diffuso e comune ci avrebbe davvero resi una comunità unita. A quanto pare, invece, la prova lockdown non è stata superata, o semplicemente chi credeva che la quarantena ci avrebbe reso un popolo migliore stava sognando troppo in grande.

Sembra infatti che l’essere usciti da queste prime fasi di lotta al Coronavirus abbia portato alla luce gran parte dei mali della nostra società, non solo a livello nazionale, ma addirittura mondiale.

Sono emerse lotte razziali, problemi di discriminazione di genere, violenze da parte della polizia e non solo, scandali economici e politici, e altri molteplici problematiche che hanno inondato i media con una potenza e una forza di fronte alle quali nessuno è rimasto indifferente. Ciò che è esploso in quest’ultimo periodo non è casuale e temporaneo, ma ha cause profonde nel nostro passato.

Quando si raccontano le sparatorie americane dei poliziotti bianchi contro i neri, quando si ascoltano per radio commenti sessisti e discriminatori, non basta indignarsi sul momento e aspettare che qualcosa cambi nella società, ma piuttosto bisogna andare alla radice dei problemi. Non bastano hashtag o condivisioni sui social, ma serve una maggiore e migliore informazione di qualità, sono necessarie letture, ascolti, approfondimenti per comprendere ciò che sta accadendo a noi e intorno a noi.

La consapevolezza e la cultura sono i due strumenti che possono aiutarci a “liberarci della brava bambina”, che è il titolo di un libro di Maura Gancitano e Andrea Colamedici, ma è anche un monito per la vita, valido sia per gli uomini che per le donne, sia per coloro che non vogliono definirsi in nessuna di queste due categorie: è un invito alla liberazione e alla rivoluzione.

Questo libro è stato pubblicato l’anno scorso e risulta particolarmente attuale in questo periodo. Negli ultimi mesi, infatti, si sono susseguiti diversi attacchi sessisti, addirittura da parte di parlamentari; mentre la questione relativa al Pride ha scatenato reazioni contrastanti e ha mostrato che il dibattito relativo alle questioni di genere e sessualità è ancora aperto e complesso.

Inoltre, è più che mai evidente che le discriminazioni, non solo di genere ma anche razziali (e spesso le due possono sovrapporsi), non riguardano solo casi isolati americani, ma sono presenti anche in Italia e spesso ce ne dimentichiamo, preferendo aderire a campagne mediatiche online in maniera momentanea e superficiale, piuttosto che avere coscienza di ciò che succede sotto il nostro naso, nella realtà non virtuale. Ma non è più sufficiente indignarsi al momento e mostrare questa indignazione a livello solamente mediatico.

Bisogna andare alla base delle problematiche per cercare di comprenderle, analizzarle e capire ciò che dobbiamo cambiare dentro di noi, perché nessuno cresce privo di pregiudizi, ma è il frutto della realtà che vive e che lo forgia.

Andare a ricercare le radici significa rievocare storie che ci possono sembrare antichissime, come le storie narrate nel libro Liberati della brava bambina, storie di donne — ma anche di uomini, va ricordato — di cui abbiamo sentito parlare molte volte anche a scuola: Era, la moglie di Zeus, o Elena, battezzata come casus belli della guerra di Troia, oppure Morgana, la Bella Addormentata e tante altre.

Ognuna di queste storie presenta dei percorsi di vita e dei paradigmi, degli stereotipi e dei pregiudizi dentro i quali le donne e gli uomini sono stati costretti a vivere fin dai tempi lontanissimi di Omero o della Bibbia. Come era descritta la donna? Come era descritto l’uomo? Cosa sono se non ruoli da ricoprire durante il corso della vita, in modo ripetuto, senza strappi alla regola?

La mitologia greca descrive Era come una donna austera, sempre severa con gli uomini, ma, sul fatto che era succube di un uomo violento che l’aveva stuprata pur di possederla, non si sofferma più di tanto. Elena, invece, considerata solo per il suo aspetto esteriore e per la sua bellezza era semplicemente un oggetto, condannata per essere la più bella ad essere la causa di discordia tra popoli. Medea viene dipinta come la perfida madre che arrivò a uccidere i propri figli, ma qual’era il rapporto che aveva con Giasone?

Le otto storie narrate in questo libro non sono “semplicemente” delle storie, sono esempi di vita da cui possiamo trarre insegnamenti per liberarci non solo della brava bambina o del brav* bambin* che ci hanno sempre insegnato a dover essere fin da piccoli, ma ci mostrano soprattutto come sia importante vivere una vita autentica, che non significa una vita perfetta, ma una vita vera, con i suoi alti e bassi, con i suoi percorsi a ostacoli, ma pur sempre frutto di ciò che siamo e non di ciò che gli altri vogliono da noi.

La storia di queste donne e degli uomini che inevitabilmente fanno parte delle loro vite, non è così lontana dalla nostra come potrebbe sembrare, anzi: i sentimenti che ci guidano e che proviamo sono molto simili ai loro.

La rabbia del tradimento, dell’oppressione, la necessità di cambiare e la frustrazione di non essere liberi di essere ciò che desideriamo solamente perché la società si aspetta dalle donne che siano sexy, domabili, brave e brillanti ma non troppo; mentre dagli uomini che siano forti, virili, che non piangano vedendo un film o quando si sentono di farlo, che non accudiscano i figli altrimenti rischiano di diventare dei “mammi” femminili e quindi, conseguentemente, apparire inferiori rispetto agli uomini tutti d’un pezzo, che sanno risolvere problemi e prendere decisioni sia nella famiglia che nella coppia.

La forza da una parte e la sottomissione dall’altra, il controllo e la debolezza, la fermezza e la dolcezza sono coppie di opposti che devono per forza coesistere nella società in cui viviamo? Nate per la comodità e la superficialità di incasellare ogni persona, ogni genere, ogni essere umano in un contenitore etichettato, inscatolato e chiuso, senza possibilità di cambiamento, perché il cambiamento impaurisce, spaventa ed è preferibile abituarsi anche a rinunciare alla libertà piuttosto che combattere per essa.

Ciò che possiamo e dobbiamo fare oggi non è abituarci a restare al riparo nelle nostre scatole etichettate, ma dobbiamo sforzarci di uscire da esse e smettere di vedere gli altri come esseri umani da giudicare a priori: esattamente come molte donne si sono sentite violate, sottomesse, limitate fin da bambine, anche molti uomini hanno provato questi sentimenti.

Occorre, come viene detto anche nel libro, provare a compiere una nuova narrazione, obiettivo comune di un impegno collettivo, che deve focalizzare l’attenzione su una delle entità più pericolosamente utilizzate oggi: il linguaggio.

Le parole possono sembrare elementi piccoli e innocui ma in realtà sono gli strumenti più potenti che abbiamo per creare e distruggere ciò che siamo e ciò che è intorno a noi. Sono le parole, che rivolgiamo a noi stessi e agli altri, che creano la società e devono essere usate come strumento di educazione e conoscenza, un mezzo quindi e non un fine.

La loro finalità non è essere poste come etichetta per definire una persona nera, bianca, mulatta, trans o lesbica, queste parole vogliono definire, dare un contorno quasi come se si volesse identificare un nemico o un alleato, chiamandolo per nome. Tutto ciò è irreale e inverosimile, nessuna parola può definire una persona.

Invece, le parole e il linguaggio che scegliamo possono, se usate in modo consapevole, aiutarci ad arrivare a una trasformazione che coinvolge l’intera società, per trasformare la rabbia di Malefica in qualcosa di positivo; per capire che il potere delle donne non è il bottom power, come spiega Chimamanda Ngozi Adichie, ma può essere molto di più, e non deve essere per forza sottoposto al potere degli uomini; per capire che ogni storia di oppressione e discriminazione deve entrarci dentro, istruirci e indignarci a tal punto da scegliere ogni giorno il rispetto, la libertà e la comprensione dell’altro.

Se abbiamo sentito frasi come “lavorare come un negro”, se abbiamo sentito identificare una signora che fa le pulizie come “la filippina”, oppure ci è stato detto di non fare la “femminuccia”, di non piangere, di fare “la donna di casa”, di “essere un uomo”, oppure di non fare la “sfigata”, se abbiamo sentito dire “quella lesbica”, o se alcuni amici per il semplice fatto di vestire in modo diverso sono stati chiamati “gay” o insultati, possiamo immaginare quanto queste parole siano marchi sulla pelle, quanto feriscano e quanto sia doloroso portarli con sé.

Le parole possono fare la differenza. Se usate intelligentemente, possono liberarci dalle classificazioni che non ci rappresentano e semplificano ciò che siamo: esseri umani complessi, ricchi di parole, non riassumibili in semplici etichette.

Non sono passi semplici da compiere e non sarebbe mai bastata una quarantena a renderci persone migliori, ma ora che con così tanta forza è emerso il concetto di diversità che è insito nelle nostre società, è necessario rispettarlo e riconoscerlo per poterlo interiorizzare come una risorsa e non come causa di scontri e violenze.

Immagine di copertina tratta dal film “Medea” di Pier Paolo Pasolini

Caterina Cerio
Vivo a Milano ma sono innamorata di Siviglia, dove ho fatto il primo Erasmus. Amo il sole, il mare e la buona compagnia. Mi piace conoscere cose nuove e l’arte in generale con tutti gli stimoli che dà.

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