Del: 27 Giugno 2020 Di: Roberta Gaggero Commenti: 0
Credits: Rolling Stone

Gaël Faye nasce in Burundi nel 1982 da padre francese e madre ruandese. Nel 1995, all’indomani del Genocidio del Ruanda , si trasferisce in Francia. Questi sono solo alcuni degli aspetti che accomunano la vita di Gael e quella del piccolo Gabriel, protagonista del suo romanzo Petit Pays, che lo ha portato a vincere il premio Prix Goncourt des lycèens nel 2016.

Perché non hanno lo stesso naso.” È in questo modo che il padre di Gabriel giustifica la rivalità tra Hutu e Tutsi, etnie che risiedono in Burundi e in Ruanda, ed è proprio questo l’inizio della fine, la causa di una guerra civile: nasi grossi contro nasi sottili.

La storia di Gaby si apre con un’infanzia allegra e spensierata, frequenta la scuola francese e passa le ore dentro a un Combi Volkswagen in compagnia dei suoi amici di sempre: Gino, Armand e i gemelli. Le estati sono noiose, calde e piene di zanzare, ma le giornate passano tranquille tra i bagni al circolo nautico e le incursioni nel giardino della vicina per rubare qualche mango. In una di queste giornate come tante altre, durante la ricreazione, due ragazzini iniziano a picchiarsi e a insultarsi senza un apparente motivo:

Quel pomeriggio, per la prima volta nella mia vita, sono entrato nella realtà profonda del paese. Ho scoperto l’antagonismo tra hutu e tutsi, invalicabile linea di demarcazione che obbligava ciascuno a schierarsi da una parte o dall’altra. Ci nascevi, di una certa parte, e allo stesso modo in cui viene attribuito un nome a un bambino, quella parte ti inseguiva per sempre. Hutu o tutsi.

Fino a quel momento la guerra era un concetto astratto per Gaby e gli altri bambini privilegiati come lui, il padre proibiva a lui e alla sorella Ana di parlare di politica e tutto ciò che riguardasse elezioni e colpi di stato.

In casa però la situazione diventa insostenibile, già da tempo i genitori si erano separati, l’aria era pesante a causa della tensione tra il cuoco Prothè (partito Frodebu) e l’autista Innocent (Partito Uprona), il padre di Gaby passava le notti fuori e tornava all’alba per chiudersi in camera a fare telefonate chilometriche:

Cominciavo a interrogarmi sui silenzi e i non detti degli uni, i sottintesi e le predizioni degli altri. Quel paese era fatto di sussurri e di enigmi. C’erano fratture invisibili, sospiri, sguardi che non comprendevo.

Perfino Gino si era avvicinato a Francis, il loro peggior nemico, per questioni politiche: parlavano di eliminare gli Hutu, di procurarsi dei kalashnikov, di creare una gang per difendere la propria identità.

Tra il carteggio con Laurie, una ragazza francese, e le nottate a dormire sul pavimento per schivare i colpi di fucile, l’infanzia di Gaby è ormai un ricordo lontano.

La guerra è penetrata nelle ossa della città, la vita si è fermata: ”L’idea di poter morire in qualsiasi istante ci diventava famigliare. La morte non era più qualcosa di lontano e astratto. Aveva il volto banale del quotidiano.

Il peggio però arriva dopo, quando a seguito del genocidio in Ruanda la mamma di Gaby parte per avere notizie della zia e dei nipoti. Le atrocità che ha dovuto vedere l’hanno cambiata irrimediabilmente, portandola addirittura ad accusare i suoi stessi figli per il sangue francese che scorre nelle loro vene.

Ancora una volta Gabriel si dimostra un bambino più adulto di tanti altri, pronto a perdere la madre senza neanche doverle dire addio: ”Ho finito per accettare la sua condizione e ho smesso di cercare in lei la madre che avevo avuto. Il genocidio è una marea nera, quelli che non vi sono annegati sono avvelenati per sempre.

La penna di Gaël riesce a trasmettere emozioni profonde attraverso le parole di un bambino cresciuto troppo in fretta, che parla ad un altro bambino che invece non crescerà mai, perché gli è stata tolta la possibilità di farlo: 

 […] La mia bisnonna diceva che le persone che amiamo non muoiono finché si continua a pensare a loro. Mio padre diceva che il giorno in cui gli uomini smetteranno di farsi la guerra nevicherà sotto i tropici. La signora Economopoulos diceva che le parole sono più vere della realtà. La mia prof di biologia diceva che la terra è rotonda. I miei amici dicevano che bisogna scegliere da che parte stare. Mia madre diceva che tu dormi tanto, con la maglietta della tua squadra preferita sulla schiena. E tu, Christian, non dirai mai più niente.

Tuo, Gaby

A distanza di vent’anni dalla sua partenza Gabriel torna nel suo paese natale. Nonostante la sorella provi a dissuaderlo, egli non riesce a ignorare il richiamo della sua Africa. Le cose sono cambiate eppure sono le stesse, le strade sono vuote e polverose ma in quel luogo apparentemente sconosciuto ritrova il baracchino delle birre in cui passava ore a discutere con gli amici, ritrova Armand, l’unico ad essere rimasto in paese, e ritrova una voce d’oltretomba che vaga per Bujumbura mormorando una storia di macchie sul pavimento che non vanno via.

“Pensavo di essere in esilio dal mio paese. Tornando sulle tracce del mio passato ho capito che ero in esilio dalla mia infanzia.”

Questa è la storia di una guerra, di un genocidio, di una lotta etnica senza fondamenta, di un’infanzia strappata via troppo precocemente o forse finita, nascosta nei meandri della coscienza di chi ormai si è fatto uomo ma nasconde dentro di sé un bambino ancora desideroso di fare un bagno in fiume. È la storia di chi, nonostante l’efferatezza e la paura che ha vissuto in prima persona, non dimentica quell’Africa che l’ha cresciuto e che, anche se per poco, gli ha fatto conoscere la felicità, quella pura.

Gaël ama il suo paese e come Gabriel ha sentito un bisogno ossessivo di tornare: nel 2015 si è trasferito in Ruanda con la moglie e le figlie.

Parigi l’ha reso uno dei rapper più acclamati nel panorama musicale francese e lui questo non lo dimentica: la capitale francese è infatti una delle protagoniste indiscusse delle sue rime, ma la terra da cui proviene la fa da padrona, in particolare nel suo primo album Pili Pili sur un croissant au beurre, in cui tratta in maniera impeccabile il tema dell’esilio e della ricerca di un posto nel mondo da poter chiamare casa.

L’Africa che viene descritta nel romanzo Petit Pays è la stessa che Gaël racconta nell’omonima canzone, in cui definisce Bujumbura come ”ma luciole dans mon errance europèenne”[1].

Nei suoi pezzi si sentono fortemente le sue origini, la poliritmia tipica delle melodie africane è accompagnata spesso a citazioni in Kirundi, la lingua parlata in Burundi, e il ricordo di quel paradiso edenico della sua infanzia permea i suoi ipnotici testi.

Nel brano L’ennui des après-midi sans fin, racconta la sua routine quotidiana della sua infanzia, la noia degli infiniti pomeriggi d’estate: ”Nos jeux sont souvent poussièreux sous un soleil de plomb teigneux / Les excursions chevaleresques, les fous rires, les pactes de sang / … / Et faute de pomme golden, je trahis Dieu avec des mangues /… / Une planche à voile sur le toit d’un combi Volkswagen”. [2]

Gli stessi manghi e la stessa Volkswagen Combi su cui Gabriel giocava con gli amici, lo stesso patto di sangue che Gaby ha fatto con Gino: una noia apparente dietro cui si cela una gioia ineguagliabile.

Gaël però non si limita a rivivere la sua memorabile infanzia ma denuncia anche la difficoltà di un Metìs, il cui colore della pelle non trova un posto nella prestabilita dicotomia bianco-nero:

La race humaine un clébard marquant son territoire
Gueulant l’appartenance à son département, ni blanc ni noir
J’étais en recherche chromatique
Mais le métis n’a pas sa place dans un monde dichotomique
Donc c’est dit c’est dit je suis noir dans ce pays
C’est pas moi qui l’ai voulu je l’ai vu dans le regard d’autrui
C’est comme ça, laisse-les chanter nos mélanges de couleur
Laisse-les parler de diversité, de France black, blanc, beur
On serait tous métis, le reste c’est de la bêtise
Voilà que j’ironise sur ce que les artisans de la paix disent
J’ai pas de frontière, j’ai pas de race
Je suis chez moi partout sans être jamais à ma vraie place
Mon seul pays c’est moi, mon seul amour c’est toi
Toi l’autre différent mais au fond si proche de moi
Quand deux fleuves se rencontrent
Ils n’en forment plus qu’un et par fusion nos cultures deviennent indistinctes
Elles s’imbriquent et s’encastrent pour ne former qu’un bloc d’humanité debout sur un socle. 

Si sente a casa ovunque senza mai essere nel suo vero posto, ed è questo che esprime nelle sue canzoni, l’amore incondizionato per la sua Africa e per la sua Parigi, che pur facendolo sentire scisso irrimediabilmente tra due realtà inconciliabili, l’hanno plasmato e lo hanno rose quello che è, un’artista poliedrico con una fenomenale sensibilità che racconta in svariate forme il suo eterno viaggio ”depuis mes sources du Nil jusqu’en haut de la tour Eiffel”. [3]

Note:

[1] ”La mia lucciola nel mio girovagare europeo”.

[2] ”I nostri giochi sono spesso polverosi sotto un sole cocente e ardente / le escursioni cavalleresche, i patti di sangue /… / e in assenza della mela d’oro tradisco dio con i manghi / … / windsurf sul tetto di una Volkswagen Combi”.

[3] ”Dalle mie fonti sul Nilo alla cima della Torre Eiffel”.

Roberta Gaggero
Ligure trapiantata a Milano. Dimentico sempre la luce accesa, puccio i biscotti nella spremuta d’arancia e non so scrivere le bio. Mentre cerco di capire chi sono bevo birra e parlo di poesia.

Commenta