Del: 13 Giugno 2020 Di: Roberta Gaggero Commenti: 0
Orizzonti: quando la rivoluzione si fa poesia. L'anno 1993, Saramago

Orizzonti è la rubrica mensile che Vulcano ha deciso di dedicare alla poesia, una forma d’espressione potentissima che merita di essere riscoperta.


Ho cercato di esprimere in questi componimenti l’angoscia e la paura, e anche la speranza, di un popolo oppresso che a poco a poco vince la rassegnazione e organizza la resistenza fino alla battaglia decisiva e alla ripresa della vita, pagata al prezzo di migliaia di morti

L’anno mille993, Saramago.

È con queste parole che José Saramago, nell’incipit della raccolta, spiega gli intenti e lo scopo della sua opera L’anno mille993.

Per comprendere a pieno il significato di questi testi è necessario ripercorrere brevemente le vicende che investirono il Portogallo a partire dagli anni Venti del Novecento.

Nel maggio del 1926 un colpo di stato pose fine alla prima repubblica portoghese e con un successivo golpe, nel 1932, si instaurò il cosiddetto “Estado Novo“, regime sotto l’autorità di Antonio de Oliveira Salazar e in seguito di Marcelo Caetano.

Quarantadue anni dopo, il 25 aprile, l’ala progressista del Movimento delle Forze Armate pose fine alla dittatura più longeva dell’Europa occidentale aprendo al Portogallo la strada verso la democrazia, con la Rivoluzione dei Garofani. Essa è così chiamata perché durante il sollevamento militare una donna di nome Celeste Caeiro camminò per le vie di Lisbona donando garofani rossi ai soldati, che vennero messi nelle canne dei fucili per manifestare l’intenzione pacifica della rivoluzione. La poetessa Rosa Guerriero Dias le dedicò una bellissima poesia intitolata Celeste em Flor.

È proprio a questo fatto che l’autore portoghese si ispira; scrive, infatti, nel ventottesimo componimento: “E quando arrivavano in vista della città venivano ad accoglierli quelli che stavano dentro recando fiori e pane perché di entrambi avevano fame coloro che eran vissuti nelle terre devastate”.

Ma il momento cruciale per la composizione dell’opera è un altro: circa un mese prima, il 16 marzo 1974, il quinto reggimento di Fanteria del Movimento delle Forze Armate marciò su Lisbona tendando di rovesciare il governo: ma il golpe fallí. L’evento spinse l’autore a raccontare le proprie sensazioni; prosegue infatti nell’incipit: “Sotto l’effetto di un profondo senso di frustrazione scrissi, il giorno stesso, il primo dei trenta componimenti poetici in cui il libro si divide”.

La Revoluçao dos Cravos rappresenta anche una sorta di spartiacque nella carriera dello scrittore, che da quel momento in poi si dedicò quasi interamente alla narrativa, raggiungendo risultati straordinari che lo portarono a vincere il premio Nobel per la letteratura nel 1998.

Il Saramago del primo periodo viene così dimenticato e il successo dei suoi romanzi eclissa tutta la produzione precedente che affronta svariati temi con una molteplicità di generi differenti: dalla poesia alla cronaca, dal teatro alla critica letteraria.

Il forte sperimentalismo di Saramago appare lampante agli occhi del lettore a partire dalla struttura stessa del testo, che fa sorgere spontanea la domanda: di che genere si tratta? 

Si presenta come una raccolta poetica con l’intento di raccontare una storia, una poesia prosastica sui generis che compone una narrazione nella sua totalità, una sorta di poema in versi liberi. 

A prescindere dall’identificazione di un genere specifico, è possibile notare una forte continuità nella poetica dell’autore tra la produzione che precede il 1974 e quella successiva. 

Le peculiarità che caratterizzano il grande prosatore si riscontrano anche nei suoi versi, a partire dall’aspetto stilistico: la punteggiatura è assente dall’inizio alla fine, elemento tipico anche del repertorio narrativo. 

Dal punto di vista contenutistico questa poesia è fonte generatrice dei nuclei tematici che verranno approfonditi nella futura produzione narrativa. Quello che Saramago utilizza è un linguaggio poetico fortemente simbolico, fatto di metafore e allusioni. 

Nel componimento 7 riesce a trasmettere la condizione di impotenza della città di fronte al suo oppressore con un’immagine molto forte:

[…]

In queste occasioni i due vanno nei dintorni della città e raggiunta un’alta postazione lo stregone invoca i poteri occulti riducendo la città alla grandezza d’un corpo umano. 

Allora il comandante delle truppe di occupazione fa schioccare tre volte la punta della frusta per abituare il braccio e subito dopo prende a frustate la città fino a stancarsi

Lo stregone che intanto assiste rispettosamente a distanza chiama a sé i poteri occulti contrari e la città ritorna alla sua grandezza naturale 

Ogni volta che ciò avviene gli abitanti chiedono l’uno all’altro incontrandosi per le strade che significhino quei segni di frusta sul viso

Mentre sono così sicuri che nessuno li ha frustati e che ha farsi frustare non avevano acconsentito

Il verso si trasforma in un pennello capace di dipingere uno scenario distopico, di sviscerare la natura più profonda dell’uomo e del modo in cui questo affronta le difficoltà del mondo moderno. Un pennello che coglie le mille sfumature di una società oppressa e le imprime in un quadro dallo sfondo arido in cui il tempo sembra sciogliersi al sole; il poeta infatti esordisce così nel primo componimento: 

Le persone sono sedute in un paesaggio di Dalì con le ombre molto frastagliate a causa di un sole che sembra fermo

Quando il sole si muove come a volte accade fuori dai dipinti la nitidezza è minore e la luce non sa bene dove posarsi

Non importa che Dalì sia stato un così mediocre pittore se dipinse l’immagine necessaria per i giorni del mille993

[…]

La cornice apocalittica in cui è inquadrata la narrazione può ricordare una dimensione orwelliana, a partire dal titolo stesso. Rispetto a 1984 però c’è uno scarto temporale, nei versi di Saramago la società è regredita e si è ritrovata in una preistoria postmoderna. Gli animali diventano intelligenze artificiali programmate per uccidere la specie umana, che al contrario è assimilata alle bestie. Ai lupi meccanici e all’occhio di mercurio che vigila sulla città e che non muore mai (forte richiamo al Big Brother), si contrappongono uomini dalle unghie chilometriche che vivono sottoterra e altri che improvvisamente scoprono di non saper più leggere.  

L’incubo descritto è reso ancora più intenso dal senso di ignoto che permea l’intera raccolta: come in ogni sua opera non sono nominati popoli o luoghi, non sono definiti nitidamente un inizio e una fine, le giornate e le ore scorrono in maniera vaga e sfumata. 

Se è vero che, come abbiamo già detto, la storia che egli racconta si ispira alla repressione del golpe del 1974, è altrettanto vero che lo scopo dell’autore è quello di narrare fatti che prescindono lo spazio e il tempo, come dice egli stesso nell’incipit: “Ho spostato nel futuro la storia di questo popolo, il popolo di un paese mai nominato, immagine di quanti hanno subito e subiscono la tirannide.

Una tirannide che si scontra con la carne umana, la stessa carne umana che la alimenta, come si evince dal ventitreesimo componimento, e la stessa carne umana che qua e là tra la moltitudine di morti rende possibile la sopravvivenza di un barlume di speranza che non può essere sconfitto.

A partire dal ventisettesimo componimento, Saramago descrive la riscossa di un popolo che non si arrende e nel ventottesimo ne immortala la gioia: 

[…]

Però molte battaglie provocheranno ancora morti fra coloro che adesso ridono e piangono non per la morte che li attende ma per la gioia d’esser vivi

Sì questo popolo che corre per le strade e queste bandiere e queste grida e questi pugni chiusi mentre i serpenti e i topi e i ragni che eran serviti per la conta si nascondono sotto il suolo

Sì questi occhi luminosi che spengono uno a uno i freddi occhi di mercurio che fluttuavano sulla testa della gente nella città

[…]

Un’umanità che si riscopre a partire dal contatto diretto con una natura primordiale, che fa riemergere il valore dei legami famigliari e l’importanza dell’arte e della parola.

Il quadro  terrificante che delinea un’iniziale visione pessimista si rovescia di fronte a un arcobaleno che ogni sera compare sulla città.

La guerra non è finita e non finirà mai, ma finché ci sarà un popolo pronto a lottare non potrà vincere, perché come conclude Saramago:

Le sofferenze non sono finite, né la felicità è cominciata. E proprio adesso, frase per frase, sillaba per sillaba, quanti popoli del mondo, qui e in ogni dove, non leggerebbero questo libro come il libro del loro grande dolore e della loro immortale speranza? 

Roberta Gaggero
Ligure trapiantata a Milano. Dimentico sempre la luce accesa, puccio i biscotti nella spremuta d’arancia e non so scrivere le bio. Mentre cerco di capire chi sono bevo birra e parlo di poesia.

Commenta