Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio in quel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate la scorsa puntata.
CCT, BTP, BOT, ci sono talmente tante sigle che non è facile muoversi e capire il funzionamento dei cosiddetti “titoli di stato”. Altrettanto difficile è poi capirne l’importanza e il legame con il famigerato Spread e con l’Europa. Cosa sono, dunque, i titoli di stato?
In precedenza si è già spiegato cosa fossero le obbligazioni, i titoli di stato non sono altro che obbligazioni statali, pezzi di debito pubblico di cui si fa carico l’acquirente del titolo con la promessa di una “ricompensa” periodica o alla fine del tempo stabilito. Per essere più precisi, sono uno strumento emesso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) al fine di finanziare le attività delle quali lo Stato si fa garante, come ad esempio la sanità, la sicurezza, l’istruzione.
Quella che sembra essere una grande quantità di sigle, utilizzate per classificarli, in realtà risponde a sole sette categorie di titoli, come è possibile verificare sul sito del Dipartimento del Tesoro:
- BOT- Buoni Ordinari del Tesoro (durata 3, 6 e 12 anni);
- CTZ – Certificati del Tesoro Zero Coupon (24 mesi);
- CCT/CCTeu – Certificati di Credito del Tesoro (da 3 a 7 anni);
- BTP – Buoni del Tesoro Poliennali (3, 5, 7, 10, 15, 20, 30 e 50 anni);
- BTP€i – Buoni del Tesoro Poliennali Indicizzati all’inflazione europea (5, 10, 15 e 30 anni);
- BTP Italia (da 4 a 8 anni);
- BTP Futura (da 8 a 10 anni).
La differenza fondamentale tra queste varie tipologie, oltre alla durata dell’acquisto, è anche nella possibilità di ottenere dei “premi”, come nel caso del BTP Futura, ma soprattutto nel rendimento. Il rendimento di un titolo finanziario si stabilisce basandosi sul reddito generato, sul capitale investito e sul tempo impiegato per ottenerlo.
Nel caso specifico dei titoli di Stato si possono valutare, per stabilire il rendimento, interessi e guadagni.
L’interesse, ossia un compenso “in più” sulla quota che deve essere restituita, calcolato basandosi sulla durata del prestito, viene fornito dallo Stato in due forme: o come scarto di emissione – il differenziale tra il valore di rimborso del titolo e il suo prezzo di emissione – o come cedola – un interesse che viene ricevuto periodicamente da un investitore, ad esempio ogni sei mesi. Il guadagno invece è la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di acquisto sul mercato secondario, ossia il mercato dove vengono trattati i titoli già in circolazione.
Come è possibile acquistare dei titoli di stato? L’acquisto deve passare necessariamente attraverso la banca o un intermediario finanziario, che completeranno l’operazione nelle aste di emissione, nelle quali bisogna dichiarare almeno entro un giorno prima dell’asta la quantità di titoli che si desidera acquistare, o nel mercato secondario al quale si è accennato in precedenza. L’importo minimo per l’acquisto è di 1000€.
L’acquisto dei titoli rimane comunque un’operazione finanziaria, pertanto comporta dei rischi.
Bisogna sottolineare, però, che con questi titoli il rischio è molto inferiore rispetto ad altri tipi di investimento, o anche rispetto all’acquisto di altre tipologie di obbligazioni, in quanto non è molto comune che uno Stato non sia in grado di restituire i suoi titoli, quindi che fallisca – anche se bisogna ricordare che è storicamente accaduto, come ad esempio l’Argentina o la Grecia. In questa situazione si parla di insolvenza sovrana, definibile proprio come l’incapacità di uno Stato di onorare il proprio debito pubblico, causando il default.
Entrano qui in gioco il famigerato spread e il legame tra i titoli di stato italiani e l’Europa.
Lo spread è un indicatore della capacità di uno stato di restituire i debiti, costituiti proprio dai vari Btp, Bot, ecc. Come suggerisce il termine stesso (spread significa infatti “espansione”), indica la distanza, in termini di stabilità, tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi (i Bund), utilizzati come termine di paragone proprio perché sono ritenuti i più stabili.
Più questo gap tra la stabilità dei titoli è ampio, più saranno gli interessi da pagare per lo Stato al fine di venderli, in quanto bisognerà motivare all’ acquisto di un titolo considerato poco affidabile, pertanto rischioso per i risparmi degli investitori, mettendo così lo Stato al centro di un circolo vizioso dal quale è difficile uscire.
Per questo è consigliabile mantenere lo spread il più ridotto possibile in termini di punti percentuali.
È quindi chiara l’importanza dei titoli per l’economia di uno Stato, non solo come meccanismi di finanziamento dello stesso, ma anche come mezzo attraverso il quale ricavare indicatori importanti nei rapporti internazionali, sui quali si basano dinamiche politiche interne, ma non solo.