Del: 10 Giugno 2020 Di: Anna Bottolo Commenti: 0
“When They See Us”, la docu-serie sui Cinque di Central Park

In seguito a recenti omicidi come quello di George Floyd e quello di Breonna Taylor per mano di agenti di polizia negli USA, è stata riportata nuovamente l’attenzione sulle conseguenze derivate dal forte razzismo che pervade ancora oggi le forze dell’ordine statunitensi e sulla brutale oppressione che esse si sentono libere di esercitare soprattutto nei confronti dei cittadini afroamericani.

Un’ulteriore testimonianza di questo atteggiamento viene raccontata nella miniserie When They See Us dalla regista Ava DuVarney, film-maker che nel 2014 ha diretto anche Selma – La strada per la libertà, pellicola che le è valsa una nomination al Golden Globe e al Critics Choice Award nella categoria di miglior regista.

When They See Us – disponibile dal 2019 su Netflix – denuncia, tramite il racconto di un episodio realmente accaduto nel 1989 a New York, la mancanza di imparzialità diffusa nel sistema giuridico statunitense a discapito delle minoranze etniche e la facilità con cui molte persone appartenenti a questi gruppi vengono condannate e incarcerate anche ingiustamente.

La vicenda, nota come “Il caso della jogger di Central Park”, avvenne la sera del 19 aprile 1989 ai danni di una ventinovenne bianca, colta e benestante, la quale fu vittima di una brutale aggressione, culminata con violenza sessuale mentre stava praticando attività fisica nel famoso parco di New York.

Già di per sé questo racconto è drammatico, poiché le conseguenze per la vittima sono state tragiche e molteplici. Tuttavia, dietro ai drammi della violenza e dello stupro si cela il dramma del pregiudizio razziale, poiché cinque ragazzi molto giovani – tra i 14 e i 16 anni – provenienti dal quartiere di Harlem furono condannati per l’aggressione.

Essi si rivelarono essere, nel 2002 e solo in seguito alla confessione del vero colpevole, innocenti ed estranei ai fatti.

La docu-serie concentra in quattro episodi i traumi e le prevaricazioni subiti da Raymond Santana, Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam e Korey Wise, i cinque adolescenti condannati – uno ispanico e quattro afroamericani – e dalle loro famiglie, sia al momento dell’arresto, sia negli anni seguenti.

I primi quattro ragazzi furono arrestati la notte dell’accaduto o il giorno seguente perché si trovavano nei pressi di Central Park; diverso il caso di Wise, il quale si era recato alla centrale di polizia solo per accompagnare l’amico Salaam ed è stato poi coinvolto dagli agenti nella vicenda.

I cinque sono stati interrogati e picchiati per ore in assenza di genitori o avvocati dagli agenti di polizia, i quali sono così riusciti a ottenere delle controverse confessioni e la firma da parte dei ragazzi di un’ammissione di colpevolezza, in cambio della promessa di lasciarli tornare nelle loro case. In seguito, emerse chiaramente che i ragazzi non erano nemmeno in grado di collocare il luogo dell’aggressione e che i poliziotti guidarono le loro dichiarazioni.

Oltre a queste violazioni, nonostante i ragazzi fossero solo dei sospettati e per giunta minorenni, i loro nomi trapelarono nelle pagine dei giornali: questo contribuì moltissimo a influenzare l’opinione pubblica, che da subito abbracciò l’idea di identificare cinque ragazzi neri come i colpevoli di un reato a sfondo sessuale.

Nonostante l’assenza di prove concrete, la non corrispondenza del DNA dei ragazzi sul corpo della vittima e l’ammissione dei ragazzi di essere stati costretti a una confessione, i Cinque di Central Park furono condannati a scontare una pena tra i 6 e i 13 anni di riformatorio o di carcere sulla sola base delle confessioni estorte dai poliziotti al momento dell’arresto.

When They See Us mostra chiaramente che gli investigatori e gli organi giuridici coinvolti fossero consci dell’assenza di prove concrete e consapevoli che le vite dei ragazzi sarebbero state rovinate, tuttavia non se ne curarono proprio a causa dell’origine degli imputati. Inoltre, agirono spinti dalla necessità di trovare il colpevole di un atto così grave ai danni di una donna bianca, che non poteva restare impunito agli occhi della società.

Nonostante gli eventi siano stati romanzati, When They See Us mira a raccontare proprio il punto di vista dei giovani e le loro sensazioni.

L’accento è posto non solo sui difficili momenti passati dai ragazzi in prigione – luogo in cui essi hanno trascorso gli anni in cui un essere umano si forma come individuo – ma anche sulla successiva difficoltà di reinserimento all’interno di una società che li aveva marchiati a vita.

Le emozioni e le esperienze vissute dai “Central Park Five” nel corso degli anni sono state raccontate con estrema umanità nel corso dei quattro episodi anche grazie alle brillanti interpretazioni degli attori, tra i quali spicca Jharrel Jerome, interprete di Korey Wise. Come ha scritto il reporter statunitense Jim Dwyer sul New York Times:

Rinchiudere quei ragazzi per uno stupro di gruppo che non avevano commesso, ma in cui credeva gran parte della società, fu come piantare nelle loro vite una bomba che non ha mai smesso di esplodere. Questa parte della storia è raccontata senza esitazioni in When They See Us, e illuminerà anche le persone che hanno seguito la vicenda in prima persona.

La regista Ava DuVernay con i “Central Park Five”, da sinistra: Antron McCray, Raymond Santana, Kevin Richardson, Korey Wise e Yusef Salaam (Emmy Awards, 2019)
La regista Ava DuVernay con i “Central Park Five”, da sinistra: Antron McCray, Raymond Santana, Kevin Richardson, Korey Wise e Yusef Salaam (Emmy Awards, 2019)

Il tema della correlazione tra appartenenza etnica e giustizia negli Stati Uniti viene trattato dalla stessa DuVernay anche in XIII emendamento, documentario del 2016 disponibile ora su Netflix e candidato ai Premi Oscar nel 2017.

XIII emendamento getta luce, tra le altre cose, sulle statistiche relative alle prigioni negli USA, il paese che conta circa il 5% della popolazione mondiale e il 25% dei detenuti del mondo. La possibilità che un bianco ha di finire in galera negli Stati Uniti è di 1 su 17, mentre si è stimato che 1 giovane nero su 3 andrà in prigione almeno una volta nella sua vita.

Anna Bottolo
Appassionata di teatro, cinema, arte e letteratura. Mi piace leggere e scrivere di ieri, oggi e domani.

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