Del: 10 Luglio 2020 Di: Rossana Merli Commenti: 0
Da rivedere per la prima volta: “Pride”

Il film Pride racconta, fra molte risate e un poco di commozione, l’improbabile eppur vincente alleanza fra un gruppo di attivisti LGBTQ+ e una comunità mineraria del Galles del sud. Quando i primi raccolgono fondi a favore dei minatori in sciopero durante il governo duro della Thatcher, la riconoscenza stenta ad arrivare finché scioperanti e attivisti non siedono alla stessa tavola, dando inizio a un viaggio fisico e metaforico nei terreni del pregiudizio, dell’empatia e della lotta civile.

Presentata al Festival di Cannes del 2014, la pellicola si è aggiudicata la Queer Palm per poi conquistare il premio BAFTA come Miglior esordio britannico da regista, sceneggiatore o produttore. Ha collezionato nomination ai Golden Globe e ai David di Donatello, mentre un grande riconoscimento è andato agli attori Imelda Staunton e Andrew Scott, che hanno ricevuto i premi BIFA come miglior attrice e attore non protagonisti. Il cast vanta anche ottime performance da parte di altri volti noti quali Bill Nighy, Dominic West, Ben Schnetzer e George MacKay, il tutto sulle note di una colonna sonora d’eccezione che rende totale l’immersione nell’ambientazione anni Ottanta.

Nonostante si tratti di una commedia, il film è ricco di spunti di natura riflessiva e drammatica.

Innanzi tutto, lo spettatore viene catapultato in un incredibile spaccato della vita queer della Londra di quegli anni, e la scelta di un focus corale permette di rappresentare i diversi risvolti della lotta LGBTQ+. Dal difficile momento del coming out alle violenze omotrasfobiche, dalle precarie relazioni famigliari alla minaccia dell’AIDS – che in quegli anni era una malattia pressoché sconosciuta – i diversi personaggi incarnano le difficoltà che ogni individuo appartenente alla comunità LGBTQ+ doveva affrontare e che, purtroppo, deve affrontare ancor oggi.

Inoltre, gli eventi raccontati sono realmente accaduti: l’organizzazione LGSM (Lesbians and Gays Support the Miners) fu fondata nell’estate dell’84 dall’attivista Mark Ashton e l’amico Mike Jackson. Al momento della fine dello sciopero, il gruppo londinese era riuscito a raccogliere 11000 sterline, che servirono a sostenere le famiglie degli scioperanti, assieme alla donazione di cibo, indumenti e di un pullman, che si rivelò fondamentale per portare gli uomini ai pozzi durante i picchetti e per distribuire alla comunità i beni di prima necessità.

L’impegno del gruppo non terminò assieme allo sciopero nel 1985, e neppure l’alleanza che era ormai stata forgiata. Quello stesso anno, infatti, il Sindacato nazionale dei minatori (NMU) restituì il supporto ricevuto marciando in testa al Pride di Londra in sostegno della comunità LGBTQ+, per poi apporre il suo fondamentale e unanime voto affinché i diritti degli omosessuali fossero inclusi nel manifesto del partito laburista.

In un film corale in cui manca una gerarchia fra i personaggi, il protagonista assoluto è il concetto stesso di solidarietà, qui intesa come lotta per i diritti civili: i propri e quelli di chi condivide la stessa sorte di persecuzione e intolleranza.

In tal senso, sono illuminanti le parole di Mark (Ben Schnetzer) a inizio film: «le legnate che di solito prendiamo noi, ora le stanno prendendo altri. Queste comunità di minatori sono prese di mira esattamente come noi: maltrattate dalla polizia, maltrattate dai tabloid, maltrattate dal governo». Gli attivisti del gruppo LGSM, quindi, furono in grado di identificare chi, come loro, era una vittima del sistema e fecero propria la lotta di altri. Nonostante la profonde differenze e i diversi obiettivi, queer e minatori seppero unificarsi contro un nemico comune e dare vita a un’alleanza che ha fatto la storia».

Pride riesce a restituire tutto questo e ricordare allo spettatore il potere della solidarietà e della lotta condivisa, perché, come dice Dai Donovan (Paddy Considine), «quando combatti una battaglia contro un nemico tanto più forte, tanto più grande di te, scoprire di avere un amico di cui non conoscevi l’esistenza è la più bella sensazione del mondo». Un messaggio più che mai attuale in questo periodo di sfide economico-sanitarie e di rivendicazioni sociali.

Rossana Merli
Mi affascina la creatività declinata in ogni sua espressione e forse è per questo che non so sceglierne una preferita. Unici punti fermi nella mia vita sono il nuoto e la scrittura.

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