Del: 15 Luglio 2020 Di: Silvia Bonanomi Commenti: 0
Gucci Beauty con Ellie Goldstein: i commenti problematici

Se dieci anni fa vi avessero detto che scorrendo su e giù il vostro pollice su di uno schermo avreste visto una modella con Sindrome di Down posare per una campagna beauty di Gucci, cosa avreste capito di questa frase? 

Scrollare cosa? Gucci come quella borsa che al paesello è, prima di tutto, status symbol? Gli stessi anni ’10 del 2000 in cui le sopracciglia di Cara Delevingne erano considerate groundbreaking dall’immaginario popolare?

Dieci anni fa sarebbe stato cortocircuito: dieci anni fa non esisteva Instagram (ancora per poco), ma soprattutto dieci anni fa Alessandro Michele non aveva ancora preso le redini della casa di moda di origini fiorentine.

È altamente improbabile che non abbiate intravisto una foto di Michele, è invece possibile che non conosciate il suo lavoro.

Capelli lunghi neri, a volte cappellino dei New York Yankees, altre qualche pezzo delle sue collezioni. Spesso in compagnia di Jared Leto, Harry Styles o Lana Del Rey. Meglio così?

Alessandro Michele è, dal 2015, direttore creativo di Gucci: una di quelle figure che involontariamente sembrano invogliare qualsiasi persona – ma proprio chiunque – a esprimersi per forza sul suo conto. È il potere di Michele, che oltre a essere uno stilista (costumista di formazione, per la precisione) è un grandissimo comunicatore.

Di fatto è questo il ruolo di un direttore creativo: abbraccia qualsiasi ramo identitario, quindi comunicativo.

E Michele questo lo sa bene: da quando ha avuto carta bianca nella maison ha ringraziato, ripreso alcuni vecchi stilemi e modellato l’universo Gucci secondo la sua personalissima e marcatamente cerebrale visione della moda, del mondo, delle cose.

In Michele c’è teatro elisabettiano, Rinascimento italiano, Ziggy Stardust, si potrebbe continuare all’infinito: altrettanto infinita sembra essere la curiosità del direttore artistico che, ovviamente, non manca di celebrare le sue origini romane attraverso la sua arte. 

Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci (Crediti: NY Times)

Il 18 giugno è apparso sulla pagina Instagram della casa di moda, pagina che conta 40 milioni di followers, un progetto fotografico nato da una collaborazione con Vogue Italia per la promozione di un mascara della sezione beauty del brand.

Interamente basato su uno scouting via Instagram, al progetto ha preso parte la modella britannica Ellie Goldstein, ragazza diciottenne con Sindrome di Down.

Non “la modella down che ha realizzato il suo sogno”: chi ha titolato così e similmente, sa poco e male di come Michele intende rappresentare (e di fatto, lo fa) quelle che, per convenzione e pigrizia, chiamiamo semplicemente “diversità”. Come se esistesse una normalità, come se la moda avesse sempre e solo celebrato questa sconosciuta (fatevi un giro tra gli ormai popolarissimi e altrettanto cerebrali Comme des Garçons e Rick Owens). 

Ellie Goldstein posa per Gucci Mascara L’Obscur.
Crediti: Gucci (fotografia di David PD Hyde Ig account: @davidpdhyde)

Ma, dicevamo, Ellie Goldstein: tra le migliaia di reazioni positive alla bellezza degli scatti, abbiamo ormai imparato che deve necessariamente presentarsi quella parte di internet che potremmo definire, senza peli sulla lingua, la sua cloaca. “Dark humor”, lo stesso che ha portato a normalizzare espressioni come down e handicappato nel parlato quotidiano per formulare domande retoriche all’ amico che dice sciocchezze. Si chiama dark humor, ma spesso si legge “non ho il coraggio di dire a questa persona – che conosco e che potrebbe bollarmi come noiosa – che quello che sta dicendo è offensivo”.

Alzando ancora più l’asticella, troviamo utenti che scrivono “e prima le modelle con le ascelle pelose, e poi le ciccione, e poi le down”. Qui, a differenza dei primi e sopracitati casi di presunto “dark humor” (che esiste ed è contemplato, ma non è questo il caso), di umorismo non ce n’è.

Si tratta del solito copione, il mondo a misura di uomo etero.

Così anche la moda e i suoi linguaggi comunicativi, ai quali normalmente e lavorativamente vengono spesso rivolte parole di sufficienza e di completo travisamento, diventano l’ennesimo parco giochi per uomini che sentono il bisogno di esternare cosa vogliono vedere, cosa sia giusto vedere, cosa più li aggrada, e così via.   

Due sono i problemi principali: l’aver ridotto, in qualsiasi conversazione, la moda a mero settore commerciale accompagnato da tutti quei discorsi su quanto sia cattivo il capitalismo e quanto siano proibitivi i suoi prezzi; il secondo, ça va sans dire, è il vecchio – e non tanto caro – sessismo, che ancora nel 2020 sembra non voler mollare la presa. 

La fantomatica diversità che, soprattutto in questo ultimo periodo, riviste e brand hanno – più o meno spontaneamente – millantato, nel lavoro di Alessandro Michele non è mai artificiosa: non è mai un mezzo per ottenere un fine.

È spontaneamente la sua visione: Michele non vuole di certo una pacca sulla spalla.

Quello che sta cercando di fare, piuttosto, è consegnare al pubblico – anche il più “profano” – la moda come manifestazione artistica, che vuole e pretende di contribuire a dare forma alle sfaccettature della società (come d’altronde qualsiasi altra manifestazione artistica). Gucci è uno dei pochissimi marchi storici che ha capito come i social possano aiutare a ricostruire un discorso intorno al settore che sia lontano dalle chiacchiere da bar alla stregua del “tu cosa ne pensi degli influencers?”. 

Così Ellie è lì, sorridente e bellissima, e guardandola non è di certo la pietà o il sentimento del diverso a bussare alle porte del nostro cervello: il primo pensiero è come questo mondo abbia bisogno di essere un po’ più Gucci di Alessandro Michele. Non nei vestiti, non nel portafoglio, ma nello spirito. 

Ellie Goldstein posa per Gucci Mascara L’Obscur.
Crediti: Gucci (fotografia di David PD Hyde Ig account: @davidpdhyde)
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Silvia Bonanomi
Mi chiamo Silvia virgola Marisa, sono qui per rispondere a chi mi chiede cosa voglio fare dopo l'università.

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