Gloria Steinem, Betty Friedan, Shirley Chisholm: sono solo alcuni nomi di grandi femministe che negli anni Sessanta e Settanta in America sono state protagoniste e sostenitrici dei principali movimenti di emancipazione femminile, fondatrici del “Comitato politico nazionale delle donne”.
Figure che hanno combattuto a favore della legalizzazione dell’aborto e delle aspettative lavorative.
Ma più che attorno a loro, la mini serie Mrs. America, on line da qualche mese sulla piattaforma Hulu, racconta la figura di Phyllis Schlafly, un nome molto meno conosciuto forse proprio per l’apparente contraddittorietà insita in questa scrittrice e politica statunitense.
Ma chi era questa donna magistralmente interpretata da Cate Blanchett all’interno della serie?
Phyllis Schlafly nasce nel 1924 a St. Lewis, Missouri con il cognome di Stewart e viene cresciuta in una famiglia cattolica della classe media. Durante la Grande Depressione il padre perde il lavoro e così la madre rincomincia a lavorare per sostentare la famiglia in modo tale da permettere alla figlia di frequentare prestigiose scuole cattoliche femminili.
Phyllis si laurea in scienze politiche presso il Radcliffe College di Cambridge in Massachusetts iniziando subito dopo a impegnarsi a livello politico a favore dei repubblicani, arrivando a candidarsi nel 1952 alle elezioni per la camera dei rappresentati. Sposa un avvocato molto più grande di lei, Fred Schlafly, dal quale avrà sei figli.
Per essere conosciuta a livello nazionale dovrà però aspettare il 1964 quando autopubblica A voice, not an Echo vendendo più di tre milioni di copie.
In questo libro accusa la parte più moderata dei repubblicani orientali di aver sistematicamente represso la frangia più conservatrice del partito attraverso le nomine presidenziali.
I fatti attorno a cui ruota la mini-serie sono però quelli che videro Phyllis al centro della campagna “STOP ERA”, il movimento contro l’approvazione dell’Equal Rights Amendment, un emendamento proposto ma non ratificato alla Costituzione degli Stati Uniti progettato principalmente per invalidare molte leggi statali e federali che discriminavano le donne.
Il nome STOP ERA era l’acronimo di “Stop Taking Our Privileges”, smettete di prenderci i nostri privilegi. Per quanto questa affermazione possa apparire paradossale era proprio questa la convinzione di Phyllis Schlafly e delle sue sostenitrici.
Il loro obiettivo era quello di sottolineare il ruolo della donna madre e casalinga, centro della famiglia tradizionale di cui si professavano ferme protettrici, affermando che le leggi del tempo già proteggessero le donne e che proprio l’approvazione dell’Equal Rights Amendment le avrebbe private di questa posizione “privilegiata”.
Le sue azioni portarono proprio alla mancata approvazione dell’ERA, emendamento per il quale numerose femministe hanno continuato a lavorare negli anni successivi, sempre osteggiate alla Schlafly attraverso l’Eagle Group, gruppo conservatore repubblicano da lei fondato.
Risulta davvero complesso arrivare a comprendere il pensiero che permeava il movimento STOP ERA, una sorta di “filosofia antifemminista” con protagoniste proprio delle donne.
E tutto questo accadeva in un periodo storico fervente su queste tematiche, sull’onda dei movimenti di emancipazione degli anni Sessanta.
L’intento della mini serie Mrs. America è proprio questo, quello di mostrare lo scontro ideologico e culturale tra due punti di vista completamente opposti sull’emancipazione, una sorta di lotta donne vs donne, in cui le protagoniste di entrambi gli schieramenti sono umanizzate, colte nei ferventi dibattiti politici ma anche nei loro numerosi dubbi.
Con un ottimo cast le donne rappresentate in scena sono tutte figure realmente esistite come ad esempio Gloria Steinem, Betty Friedan, Shirley Chisholm nominate all’inizio, giornaliste, attiviste, scrittrici e politiche protagoniste di questo fondamentale periodo storico.
Schieramenti che appaiono radicalmente contrapposti anche grazie all’eccezionale lavoro della costumista della produzione, Bina Daigeler: completi a maglia e gonne fatte su misura di colori pastello per le anti-femministe contro jeans e magliette dalle fantasiose stampe per le attiviste del movimento di liberazione femminile capeggiate da Gloria Steinem, lavoro che ha richiesto un’approfondita ricerca tra documenti fotografici risalenti proprio agli anni Settanta.
Per provare a comprendere la figura di Phyllis Schlafly è utile un’osservazione proprio dell’attrice che la interpreta, Cate Blanchett: «sua madre ha avuto un’influenza molto forte nella sua educazione. Lavorava 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per permettere a lei e alle sue sorelle di frequentare una scuola per ragazze cattoliche molto esclusiva. Suo padre rimase disoccupato per diversi anni, ma sempre considerato il capofamiglia. E qui sta il problema. È cresciuta in una famiglia molto contraddittoria e insolita».
Come si può conciliare l’influenza di una madre di questo tipo con di fatto una serie di azioni che contrastano questo atteggiamento?
Il movimento di Phyllis Schlafly temeva che l’ERA, permettendo alle donne di guadagnare uno stipendio pari a quello degli uomini e di godere degli stessi diritti, avrebbe portato a un sovvertimento dei ruoli definiti come “naturali” da queste donne all’interno della famiglia. Visione assolutamente inconciliabile con le richieste della maggior parte della popolazione femminile che si rifaceva alle attiviste che agivano ormai da anni nelle principali città americane.
Non a caso Phyllis Schlafly ha sempre fatto parte di un determinato ambiente politico che attraverso una lieve traccia di matita l’ha portata a sostenere politici dagli ideali estremisti, a partire da Pat Buchanan fino ad arrivare a Donald Trump.
Eppure, nonostante le posizioni di questa donna così paradossali agli occhi soprattutto di noi donne figlie del XI secolo, la contraddizione del titolo ha una natura doppia: contraddizione rintracciabile ovviamente nel suo essere una donna che ha combattuto l’uguaglianza, ma contraddizione nel modo in cui l’ha fatto.
Perché Phyllis Schlafly ha osteggiato la figura della donna lavoratrice proprio girando gli Stati Uniti, frequentando luoghi di potere a netta predominanza maschile.
E questo emerge già dalle immagini del trailer della mini serie, in cui si vede Cate Blanchett attorniata da uomini, negli uffici di politici e governatori, infastidita dalle richieste di sorridere o prendere appunti, mentre cammina nei corridoi delle istituzioni americane, figura lilla pastello tra giacche e cravatte blu e grigie.
Questo paradosso emerge anche nella sua biografia di giovane ragazza costretta a lavorare in una fabbrica di munizioni durante i turni notturni per pagarsi gli studi.
In molti si sono chiesti se Phyllis Schlafly non sia stata una “femminista” a modo suo, combattendo in prima linea per i suoi ideali, nonostante fossero tutto tranne che femministi. Tante sono le parti in gioco, predisposizione personale sicuramente, ma anche l’influenza del contesto, la mentalità che permeava i suoi luoghi d’origine sullo sfondo di un’America contraddittoria e insondabile.
Quello che appare chiaro è che la lotta per raggiungere pari diritti tra uomini e donne è ancora in corso e gli obiettivi da raggiungere sono ancora molti, troppi. Phyllis Schlafly rimane una figura da sviscerare e cercare di comprendere sotto un velo di assurdità che è difficile da cancellare. Forse aiuterà la serie Mrs. America, che aspettiamo curiosi anche sulle piattaforme italiane.