Del: 8 Luglio 2020 Di: Carlo Codini Commenti: 0

In Etiopia, ad Addis Abeba, nella notte tra lunedì 29 e martedì 30 giugno, il cantante Hachalu Hundessa è stato assassinato a colpi d’arma da fuoco. Ancora non è chiaro il movente né chi sia stato l’assassino. Certo è che molti, tra i componenti del gruppo etnico Oromo e non solo, vedevano in lui un riferimento e una fonte d’ispirazione. 

Hachalu Handessa in una foto pubblicata dal New York Times.

Nato nel 1985 ad Ambo, una città nel centro del paese, Hachalu aveva mostrato fin da piccolo una forte passione per la musica e nonostante suo padre lo volesse medico si racconta che, incoraggiato dalla madre, cantasse anche quando doveva occuparsi delle mucche nei terreni agricoli della famiglia. Nel 2003, a 17 anni, fu arrestato per aver preso parte alle proteste contro il governo e rimase dietro le sbarre per cinque anni. Hachalu disse in seguito che aveva imparato a trovare i versi e la melodia proprio durante il periodo di detenzione. Del resto, i nove brani del suo primo album, Sanyii Mooti (Race of the king) li scrisse dietro le sbarre.

Dopo il suo omicidio, che in tanti considerano politico, in tutta l’Etiopia sono scoppiate numerose proteste che hanno portato alla morte di più di 100 persone. Non si tratta solo della reazione emotiva di amici o fan, le ragioni all’origine delle violenze e degli scontri con la polizia son ben più profonde. 

Hachalu apparteneva all’etnia Oromo, la stessa dell’attuale presidente Abiy Ahmed, che corrisponde a circa un terzo degli oltre cento milioni di abitanti del paese.

Nelle sue canzoni parla della cultura, dell’identità dei popoli, dei diritti umani e dell’amore che sa andare al di là di qualsiasi altra cosa. Non solo. Anche i diritti degli Oromo sono un tema ricorrente.

Il problema di discriminazione e sfruttamento riguardante questa etnia esiste da tempo, in un contesto dove lo stato etiopico si è sviluppato sotto l’egida di un altro gruppo etnico: gli Amara. Ma negli ultimi anni la situazione si è aggravata in particolare nella zona della capitale che è abitata dagli Oromo ma per il suo ruolo politico è amministrata dal governo federale.  Ne è un esempio l’Addis Abeba Master Plan, un piano varato dal governo nel 2014 che ha dato il via a un sequestro di terre su vasta scala ai danni degli Oromo. Per lo più tali terre sono state vendute a investitori di paesi stranieri. Questo ha comportato la perdita di lavoro per molte persone. La maggioranza degli Oromo, infatti, è dedita all’agricoltura. A questo dramma Hachalu aveva dedicato una canzone: Maalan Jira (What existence is mine?). La sua idea era che chi subisce un’ingiustizia deve in qualche modo reagire. Come si legge in una sua canzone:

Non aspettare che l’aiuto venga dall’esterno,

perché sarebbe un sogno destinato a non avverarsi.

Levati invece, prepara il tuo cavallo e lotta

perché tu sei quello che è vicino al Palazzo.

Hachalu Handessa

Nell’immagine del Palazzo, tra l’altro, il presente si lega al passato perché il riferimento ai cavalli richiama il 1886, quando l’imperatore Amara Menelik II pose la “sua” capitale nel territorio degli Ormo togliendo loro i cavalli.

Si stima che dal 2014 siano stati oltre 5 mila gli imprigionati a seguito di numerose proteste, e centinaia i morti. Nell’ottobre del 2016, oltre agli Oromo sono scesi in piazza centinaia di migliaia di manifestanti anche di altri gruppi per chiedere riforme politiche, più diritti e denunciare abusi da parte del governo.

Quest’ultimo è controllato dal Fronte rivoluzionario del popolo etiopico (EPRDF), guidato fino al 2012 da Meles Zenawi che ha retto il paese sin dalla fase di transizione, dopo aver rovesciato il Derg (Consiglio militare amministrativo provvisorio) che a sua volta nel 1974 aveva provocato la caduta dell’imperatore e, con esso, dell’antico sistema feudale. Nel 1995, dopo l’approvazione di una nuova costituzione, Zenawi venne eletto premier, vincendo le prime elezioni formalmente multipartitiche. Ma, da allora, il forte legame dell’EPRDF con una delle minoranze etniche, i tigrini, ha causato crescenti tensioni con i partiti d’opposizione e larghe fasce della popolazione. Il Fronte rivoluzionario, inoltre, è al governo da più di 25 anni, ininterrottamente. Questo anche grazie a brogli e all’uso della forza secondo le denunce dell’opposizione (Coalizione per l’unità e la democrazia, CUD).

Ad oggi, è premier del paese e leader dell’EPRDF Abiy Ahmed Ali, il primo di etnia oromo. Nel 2019 ha vinto il Nobel per la pace dopo la stipula di un trattato di pace con l’Eritrea. Paese, quest’ultimo, contro il quale l’Etiopia ha combattuto un sanguinoso conflitto protrattosi fino alla fine degli anni 2000, quando i caschi blu dell’ONU sono stati inviati a presidiare i confini.

Le tensioni, però, come hanno dimostrato l’uccisione di Hachalu Hundessa e le successive proteste, sono ancora forti e sembra impossibile parlare dell’Etiopia come di un paese in pace.

La speranza è che questo paese trovi la strada per gestire le differenze tra i gruppi in modo democratico, attraverso il confronto e l’individuazione di soluzioni condivise. Si tratta di una via difficile, che molti paesi africani ancora non hanno imboccato e che anche in Europa talvolta non è così facile da percorrere (si pensi da ultimo alla Catalogna) ma essenziale.

Carlo Codini
Nato nel 2000, sono uno studente di lettere. Appassionato anche di storia e filosofia, non mi nego mai letture e approfondimenti in tali ambiti, convinto che la varietà sia ricchezza, sempre.

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