Il quartier generale della NASA a Washington D.C. porterà presto il nome di Mary Jackson, la prima donna afroamericana ingegnere ad aver lavorato nell’agenzia e ad essersi messa a capo di progetti che promuovevano l’assunzione di donne in posizioni lavorative legate all’ingegneria, alle scienze e alla tecnologia. Fu proprio grazie a loro che la NASA riuscì a portare nello spazio gli astronauti americani.
L’edificio a Washington DC che ospita la sede centrale della NASA, dà sulla Hidden Figure Way, una strada così rinominato nel 2019 per ricordare le donne afroamericane che hanno contribuito allo sviluppo aerospaziale. “Per anni e poi decenni e poi secoli“, ha detto il senatore Ted Cruz durante l’inaugurazione, “quando bambine e bambini verranno in visita alla NASA, guarderanno in alto, vedranno quel segnale stradale e diranno ‘Figure dimenticate? Cos’è? Cosa significa?’ E questo, a sua volta, porterà ad una storia – una storia sul potenziale umano illimitato di tutti noi“.
L’amministratore della NASA, Jim Bridenstine, ha annunciato la seguente decisione in una dichiarazione rilasciata mercoledì 24 giugno 2020, nella quale afferma che il gesto è stato fatto “per ricordare che Mary è stata una delle tante incredibili e talentuose professioniste nella storia della NASA che ha contribuito al successo dell’agenzia“.
Per lei, infatti, non ha esitato a dedicare parole di stima “Mary non ha mai accettato lo status quo, ha aiutato a rompere le barriere e allargare le opportunità per gli afro americani e le donne nel campo della tecnologia e dell’ingegneria“.
Bridenstine afferma che la decisione di dare il nome al quartier generale arriva in un momento in cui il paese “sta cominciando ad aprirsi alla maggiore necessità di onorare la piena diversità delle persone, le quali hanno contribuito come pionieri (innovatori) della nostra grande nazione“.
“Senza più nasconderli, continueremo a riconoscere il contributo delle donne, degli afroamericani, e delle persone provenienti da ogni background che hanno reso la possibile la storia delle missioni della NASA di successo”, ha detto.
Mary verrà ricordata, insieme ad altre figure di enorme talento, durante la cerimonia “Hidden Figures Way” poiché è stata e continua ad essere un simbolo della lotta al sessismo e alla discriminazione razziale e, allo stesso tempo, una delle persone che hanno maggiormente contribuito al successo della NASA nel corso della storia.
Nata e cresciuta ad Hampton, Virginia, dopo essersi diplomata con il massimo dei voti, si laureò in matematica e scienze fisiche all’Hampton Institute (ora Hampton University) nel 1942. Lavorò come insegnante di matematica nel Maryland per un anno, prima di tornare a Hampton. In seguito sposò Levi Jackson. Mary Jackson, reclutata nel 1951 dal National Advisory Committee for Aeronautics (NACA), l’agenzia che successe alla NASA nel 1958, iniziò come matematica di ricerca, lavorando nella West Area Computing Unit del Langley Research Center dell’agenzia a Hampton.
Mary si iscrisse ad un programma di formazione che la portò ad essere promossa ingegnere, diventando così la prima donna ingegnere nera della NASA nel 1958.
Lavorò nella ricerca aeronautica occupandosi dell’analisi dei dati degli esperimenti nella galleria del vento e dei voli di aerei reali e, allo stesso tempo, aiutò le donne ad avanzare nella loro carriera, dando loro consigli sui metodi di studio e sulle strategie da usare per ottenere promozioni. Nel 1979 accettò infatti di retrocedere in termini professionali, così da poter diventare amministratrice del settore Pari Opportunità, dove lottò per influenzare i percorsi di carriera delle donne nelle posizioni scientifiche, ingegneristiche e matematiche.
Tutto questo prima del suo pensionamento nel 1985. Dopo la sua morte, nel 2005, ricevette maggior riconoscimento per i suoi contributi al programma spaziale. Insieme alle altre “West Computers”, tra cui Dorothy Vaughan e Katherine Johnson, fu d’ispirazione per il libro di Margot Lee Shetterly Hidden Figures: The American Dream and the Untold Story of the Black Women Mathematicians Who Helped Win the Space Race, il quale fu poi trasformato in un film, entrambi rilasciati nel 2016.
Il film di Theodore Melfi, titolato anch’esso Hidden Figures, è stato tradotto in italiano come Il diritto di contare, un acuto gioco di parole che mantiene la doppia accezione matematica (con “figures” si intendono i numeri, così come con “contare” si intende l’azione di calcolo) e metaforica di persone nascoste ma a cui deve essere riconosciuto il giusto valore. Mary Jackson è stata interpretata da Janelle Monáe, affiancata da Taraji P. Henson e Octavia Spencer, rispettivamente nel ruolo di Katherine Johnson e Dorothy Vaughan. Le tre protagoniste sono donne forti e di carattere, dei modelli da seguire che coinvolgono emotivamente lo spettatore nella loro vicenda: la pecca da non sottovalutare sono in realtà le inaccuratezze storiche del girato, che il regista ha deciso di inserire per rendere la storia più romanzata e meno documentaria.
Un esempio riguarda proprio Mary e la sua carriera scolastica: infatti, nel film vediamo una scena molto coinvolgente in cui Mary si trova ad andare in tribunale per poter avere garantito l’accesso ai corsi serali in una scuola superiore whites-only. Il discorso che fa al giudice è preciso e chiama in causa “l’importanza di essere primi”: chiede insomma di essere parte attiva della scrittura della Storia, di prendere una decisione che stabilirà un precedente ancora importantissimo cinquant’anni dopo. Solo che non andò esattamente così: Mary Jackson fece domanda per un’eccezione alla regola e questa fu garantita, senza alcun bisogno di discorsi emotivi. È un dettaglio– anzi, sono dettagli (perché le aggiunte e le modifiche non si fermano qui) apparentemente di poco conto, tanto che la stessa Margot Lee Shetterly, autrice dell’omonimo libro, accetta queste modifiche di buon grado: «Nel bene o nel male, c’è la storia, c’è il libro e poi c’è il film».
Ma i critici non sono stati tutti del suo stesso avviso, evidenziando come le scelte di Melfi abbiano portato al “topos del salvatore bianco”; il regista di è difeso da queste critiche dicendo «Mi rammarico quando sento “film nero”, e lo stesso fa Taraji P. Henson… è solo un film. E se continuiamo a etichettare qualcosa “un film nero” o “un film bianco”– in pratica è segregazione moderna. Siamo tutti umani. Ogni uomo può raccontare la storia di un altro uomo. Non voglio più avere questa conversazione su film neri o film bianchi. Voglio avere delle conversazioni sui film». E invece la conversazione sui film neri e suoi film bianchi è fondamentale, perché ignorare questa differenza vuol dire annullare e appiattire la necessità di portare altre voci al tavolo.
Le voci diverse “contano” e sono fondamentali anche per portare la giusta rappresentazione sullo schermo.
A quattro anni di distanza, grazie ai costanti dibattiti e alle più recenti manifestazioni, una vicenda di questo tipo forse sarebbe stata raccontata in modo diverso, valorizzando ancora di più il ruolo delle protagoniste, senza la necessità di una realtà romanzata. Dare il nome di Mary Jackson al quartier generale della NASA a Washington vuol dire sottolineare l’importanza del suo ruolo nell’ambito della missione aerospaziale da un lato, ma soprattutto portare alla luce la difficoltà della sua storia in quanto donna afroamericana, il che la rende un esempio e un monito per i nostri contemporanei e per le generazioni future: che l’ambito scientifico non sia più un’esclusiva maschile, che l’impegno di Mary Jackson abbia i giusti frutti e riconoscimenti.
Articolo di Sara Suffia e Valentina Testa.