Del: 21 Ottobre 2020 Di: Lorenzo Rossi Commenti: 0

La regione del Nagorno-Karabakh è ancora una volta l’oggetto di dispute tra i due Paesi. A molti questo nome potrebbe non dire nulla, ma in realtà si tratta di una regione del Caucaso appartenente all’Azerbaijan, teatro di un conflitto che va avanti da decenni con l’Armenia. La natura del conflitto è molto semplice, ovvero etnico-politica. Infatti la popolazione della regione è principalmente armena come etnia. All’epoca della dissoluzione dell’URSS il territorio faceva già parte dell’Azerbaijan ma le autorità del Nagorno-Karabakh prima decisero per l’annessione con l’Armenia e in seguito proclamarono uno stato indipendente nel 1992. Ne consegue una guerra nell’autunno dello stesso anno che vede le truppe armene occupare nel 1993 la regione e aree al di fuori di essa in territorio azero.

Mappa pubblicata dalla BBC

La situazione sembra riappacificarsi nel 1994 con un cessate il fuoco fortemente sostenuto dalla Russia, che tuttavia non ha mai portato ad un accordo di pace o ad una risoluzione del conflitto. Viene tuttavia istituito un governo de facto in Nagorno-Karabakh indipendente da Baku e fortemente influenzato dall’Armenia, rinominando la zona in Repubblica di Artsakh, che però non verrà mai riconosciuta indipendente da nessun altro Stato, nemmeno dalla stessa Armenia. Nel mentre, durante questi decenni le schermaglie nella regione e lungo i confini non sono mancate, nonostante i tentativi di dialogo tra i presidenti dei due Paesi contendenti nel 2018 che aveva fatto ben sperare in una risoluzione pacifica.

Inoltre, se il conflitto è rimasto spesso dormiente, è per via della simmetria delle forze dei due attori in gioco in termini di equipaggiamenti e personale.

Eppure, non si era mai vista una ripresa delle ostilità della portata attuale. Si sostiene che l’attacco iniziale l’abbia scagliato questa volta l’Azerbaijan. Il presidente azero Ilam Aliev, definito da diversi osservatori ed esperti come a capo di un sistema nepotistico e corrotto, vuole sfruttare la volontà azera di riprendere i territori occupati dagli armeni decenni fa alimentando il nazionalismo dei connazionali e istigando un sentimento di minaccia, sostiene Redaelli su La Stampa. Ora, a partire dalla fine di settembre, quando l’escalation del conflitto si è manifestata, più di 400 soldati armeni e 50 civili sono morti – non si conosce invece l’entità delle perdite azere. I due attori continuano ad accusarsi a vicenda di nuovi attacchi: per esempio l’Azerbaijan sostiene che l’Armenia abbia effettuato attacchi missilistici sui civili, mentre quest’ultima che gli azeri stiano facendo lo stesso coi residenti della capitale del Nagorno-Karabakh, Stepanakert.

Tuttavia, in questo momento di incertezza il trigger, l’azione decisiva per la riaccensione degli scontri, è poco rilevante, e speculare potrebbe solo causare un risentimento reciproco tra le due fazioni in caso di negoziato. Bisogna, al contrario, capire quali siano le macro-cause strutturali, i fattori determinanti che i due Paesi perseguono nelle azioni belliche in modo da essere mediati in una trattativa di tregua.

Non bisogna scordare anche che l’area suscita molto interesse da parte di altri attori.

La Turchia di Erdogan è ormai impegnata in qualsiasi conflitto in Medio Oriente in modo da ritagliarsi un ruolo di pesante influenza in tutta l’area, sostenendo in questo caso Baku in modo massiccio, inviando materiale bellico e copertura aerea. Dall’altra parte vediamo il debole sostegno all’Armenia da parte della Russia (intenzionata principalmente a mantenere lo status quo in un’area prossima ai confini nazionali), della Francia e dell’Iran.

L’assenza degli Stati Uniti, che si stanno ritirando progressivamente dalla scacchiera internazionale con l’amministrazione Trump e che avevano individuato negli anni Novanta l’Azerbaijan come perno della loro influenza nella zona, ha determinato un “liberi tutti” che alimenta i focolai nella zona fino ad arrivare a scenari molto aggressivi, continua Radaelli nell’articolo su La Stampa. È difficile ottenere risposte in una situazione complicata come questa. Né paiono efficaci i tentativi di riappacificazione tra le due fazioni, come il tentato summit del 10 ottobre a Mosca per eventuali trattative di pace, poi fallito. Al momento l’unica soluzione praticabile sembra un progressivo ritorno allo status quo antecedente il riavvio degli scontri armati. Questo eviterebbe un aggravarsi della situazione, con un ruolo sempre più intenso di Russia e Turchia nella vicenda, specialmente dal punto di vista militare.

Lorenzo Rossi
Politicamente critico. Fieramente europeista.
Racconto e cerco risposte in quel che accade nel mondo.

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