Del: 20 Ottobre 2020 Di: Elena Gentina Commenti: 0
In Thailandia si lotta per la democrazia

Negli ultimi mesi e in particolare nell’ultima settimana Bangkok è invasa da manifestanti. Decine di migliaia sono le persone che continuano a protestare contro il governo e il re (va ricordato che la Thailandia, o meglio Regno di Thailandia, è una monarchia parlamentare).

Nemmeno l’imposizione dello stato di emergenza da parte del primo ministro Prayuth Chan-ocha ha bloccato le manifestazioni, e giovedì 15 ottobre la polizia ha arrestato alcuni dei leader delle proteste. Sono inoltre state vietate la diffusione di notizie che potrebbero “influenzare la sicurezza nazionale” e le riunioni con più di quattro partecipanti (vincolo che si va ad aggiungere a quelli già imposti a causa del Covid).

Quello che i manifestanti chiedono principalmente è lo scioglimento dell’attuale governo guidato da Prayuth Chan-ocha, in carica dal 2014, e la stesura di una nuova Costituzione che sia fondata su principi democratici.

La Thailandia sta attraversando da diversi anni un periodo d’incertezza e crisi politica, e per capire quello che sta succedendo oggi nel territorio thailandese è necessario tornare indietro nel tempo di sei anni. Il 22 maggio 2014, l’attuale primo ministro thailandese (allora comandante dell’esercito) aveva capeggiato un colpo di Stato per prendere il controllo del governo – che era guidato dall’allora ministro ad interim Niwatthamrong Boonsongphaisan  – annunciando in un messaggio televisivo di voler condurre il Paese verso l’ordine istituendo nuove riforme politiche e annunciando la sospensione della Costituzione.

Quel giorno, in Thailandia, l’esercito impose il coprifuoco e vietò i raggruppamenti politici di più di cinque persone; l’esercito aveva ottenuto maggior potere dalla legge marziale proclamata dallo stesso gruppo militare di Prayuth Chan-ocha (chiamato il “Consiglio per il mantenimento dell’ordine e della pace nazionale”).

Un ulteriore passo indietro: nel novembre 2013 le manifestazioni anti-governative di Bangkok si schierarono contro la proposta di legge presentata dal governo che prevedeva un’amnistia per i reati connessi alla crisi politica tra il 2006 e il 2011. L’amnistia era stata poi ritirata, ma le proteste sono continuate: i manifestanti sostenevano che il primo ministro Yingluck Shinawatra (in carica dal 2011 al 2014) volesse approvarla per permettere a suo fratello Thaksin (che era stato primo ministro nel 2006), latitante all’estero, di rientrare nel Paese. Il 7 maggio 2014 Yingluck Shinawatra venne rimossa dall’incarico su sentenza della Corte Costituzionale, con l’accusa di abuso di potere.

Tornando ad oggi, le proteste di quest’anno sono iniziate a febbraio quando un tribunale ha ordinato lo scioglimento di un nuovo partito di opposizione favorevole alla democrazia, il Future Forward Party (FFP), molto popolare tra i giovani. Le proteste sono poi incrementate a giugno a causa della scomparsa in Cambogia di Wanchalearm Satsaksit, attivista filodemocratico thailandese, in esilio dal colpo di stato del 2014.

Durante le proteste di questi ultimi mesi tra i manifestanti, oltre a molti studenti (che utilizzano il saluto a tre dita di The Hunger Games, simbolo di ribellione contro un governo oppressivo), c’erano molti ex seguaci di Thaksin Shinawatra (le “camicie rosse”). I manifestanti chiedono appunto lo scioglimento dell’attuale governo, che venga riscritta la Costituzione emanata dopo il colpo di Stato e che si smetta di perseguitare attivisti e dissidenti politici.

In più si sono aggiunte anche le proteste nei confronti della monarchia, che potrebbero risultare particolarmente rischiose.

In Thailandia l’offesa della dignità nei confronti del re e della sua famiglia viene punita con pene che possono arrivare a 15 anni di detenzione per il reato di lesa maestà. Ad agosto il gruppo pro-democrazia dell’Università Thammasat di Bangkok ha proposto una lista di riforme della monarchia, fra cui l’abolizione dello stesso divieto di critica ai regnanti e limitazioni dei poteri della Corona. L’attuale re, Maha Vajiralongkorn, non ha commentato le richieste, anche se pochi giorni fa il notiziario reale ha mostrato il re durante un incontro con gli ex comunisti, ai quali ha detto: «Il Paese ha bisogno di persone che amino il Paese e che amino la monarchia».

A Bangkok la gente continua così a scendere per strada chiedendo democrazia, diritti umani e riforme, e Brad Adams, direttore esecutivo di Human Rights Watch’s Asia Division, ha osservato come si tratti di proteste pacifiche, a differenza degli interventi del governo e della polizia che quattro giorni fa ha usato i cannoni ad acqua contro i manifestanti; e ha aggiunto «Concerned governments and the United Nations should speak out publicly to demand an immediate end to political repression by the Prayuth administration».

Elena Gentina
Studentessa di lettere moderne. Amo la musica, la letteratura e il cinema. Vivo tra le nuvole ma cerco di capire quello che sta a terra.

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