La crisi del Movimento 5 Stelle degli scorsi mesi, palesata da un enorme deflusso di voti, ora si è trasformata in una crisi interna.
Lo scontento, che prima era solo un borbottio poco percepibile, adesso è plateale e rimbalza sulle pagine dei giornali, che riprendono o ospitano dichiarazioni pubbliche dei vari esponenti.
La sortita che più ha fatto scalpore in questi giorni è stata quella di uno dei personaggi più influenti, Alessandro Di Battista, il quale nonostante nei mesi scorsi abbia difeso sempre e comunque il Movimento, ha parlato, dopo i risultati a dir poco deludenti delle Regionali, di una sconfitta storica e di una vera e propria crisi di identità.
È vero infatti che molti elettori hanno dimostrato di non credere nel più ambizioso progetto del Movimento 5 Stelle, ossia quello di non presentarsi come un partito politico, ma di voler invece cambiare il sistema favorendo la democrazia diretta e un rapporto particolare tra eletti ed elettori.
C’è da dire che in questi anni non sono stati fatti molti sforzi per dare una forma più credibile a questa visione: le consultazioni sulla piattaforma Rousseau, simbolo evanescente di quella che dovrebbe essere la democrazia diretta, son quasi sempre stata una farsa da pochi click per ratificare decisioni già prese altrove.
Inoltre risulta quantomeno curioso e sintomo di una grossa contraddizione il fatto che il movimento portabandiera della democrazia diretta faccia fatica – da sempre – ad affermarsi nei territori.
Dopo questa ennesima sconfitta le figure di primo piano cercano di predicare la calma verso i parlamentari, che sono più agitati che mai.
Una prova evidente della crisi in corso all’interno del Movimento è la vittoria di una battaglia storica – il taglio dei parlamentari – che è passata in secondo piano. Il trionfo dell’antipolitica, infatti, arriva proprio nel momento in cui i 5 Stelle stanno cercando di diventare un partito come gli altri: lo dimostrano le alleanze a destra e manca degli ultimi anni e la sempre maggior insofferenza verso Davide Casaleggio, titolare della piattaforma Rousseau e, per molti, ormai una figura di troppo.
D’altra parte non è un caso che questa fase delicata arrivi proprio mentre aleggia nell’aria lo spettro della scadenza dei due mandati, che mette inevitabilmente il Movimento di fronte a una scelta: rimanere coerenti e mandare “tutti a casa”, utilizzando un gergo grillino, oppure far cadere un altro dogma (il primo è stato quello del no alle alleanze) e salvare il salvabile tenendosi però dei parlamentari quantomeno navigati all’interno del Parlamento.
Questi problemi saranno affrontati nei tanto agognati Stati Generali, che dovrebbero aver luogo a partire dalla metà di ottobre e in cui si discuterà di un’altra questione, la leadership, che scalda tanto i dibattiti interni al Movimento.
Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, interrogato sulla questione, fa sapere che: «Bisogna andare oltre ogni forma di leadership singolare: il Movimento ha bisogno di mettere insieme persone che la pensano diversamente per trovare delle soluzioni comuni».
Ma la sensazione è che la leadership sia l’ultimo dei problemi di un Movimento che, in questi anni di governo, ha perso buona parte della potenza attrattiva verso gli elettori e che negli ultimi sondaggi si attesta alla metà dei consensi ottenuti nelle elezioni politiche del 2018.
Gestire questa crisi dopo la repentina involuzione di questi due anni non sarà semplice, i 5 Stelle dovranno innanzitutto darsi un’agenda politica chiara evitando di deludere di nuovo gli elettori che danno loro ancora fiducia, altrimenti la regressione potrebbe diventare inarrestabile.