Del: 20 Ottobre 2020 Di: Martina Di Paolantonio Commenti: 0
Pillole di economia: l’economia circolare

Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio in quel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.


Si sente sempre più parlare di economia circolare sia in ambito europeo che mondiale. Basandosi su sostenibilità e riciclo, gli argomenti a favore di questo modello dal punto di vista ambientale sono chiari, ma a livello economico potrebbe essere un po’ più complicato. Ci si potrebbe chiedere: ma che cosa ci si guadagna? Come possono funzionare le economie se le aziende non producono più? Non aumenta la disoccupazione?

Per rispondere a tutte queste domande bisogna innanzitutto capire brevemente come funziona la produzione nell’economia “lineare”. Come suggerisce lo stesso nome, questo modello presuppone un avanzamento in linea retta dalla materia prima al prodotto finito: si parte dunque dall’estrazione delle materie prime (e già qui c’è un primo limite: per beni come petrolio e gas naturali l’Europa è in gran parte dipendente dalle importazioni), che poi vengono trasformate, distribuite, consumate e infine diventano rifiuti. E poi si ricomincia.

Questo sistema implica inevitabilmente una produzione continua di scarti che non hanno più alcun valore economico: le materie prime sono state vendute al valore x, la trasformazione e la distribuzione sono un costo y e infine il prodotto è stato venduto al prezzo z, e alla fine? Vale zero. Non a caso questo modello è definito anche “from cradle to the grave”, dalla culla alla tomba.

Esiste un modo per il quale un prodotto anche dopo l’utilizzo non abbia valore zero? Un sistema per il quale possa essere reinserito nel ciclo produttivo?

Sì, l’economia circolare. Dal nome stesso si capisce che stavolta si è davanti a un modello ciclico, “from cradle to cradle”. Nella sua forma più basica, il prodotto viene utilizzato e a “fine vita” restituito al produttore il quale compie principalmente due azioni: reinserisce nella biosfera i prodotti biologici e rivalorizza quelli tecnici. Ricicla insomma. In realtà l’economia circolare prevede innumerevoli forme, ad esempio il car sharing, e se ne potrebbero inventare molte altre (a questo proposito l’Unione Europea finanzia il progetto LIFE, proprio per favorire una transizione al circolare).

Ora che si sa di cosa si parla è più facile rispondere alle domande che potrebbero sorgere spontanee alle quali ci si riferiva prima. Che cosa ci si guadagna? Come possono lavorare le aziende se non producono più?

Quando si parla di economia circolare, specialmente nel caso europeo, il guadagno sta nel risparmio. I costi sostenuti dai produttori europei per il continuo rifornimento di materie prime (quelle presenti sul territorio non sono sufficienti, come accennato prima) verrebbero notevolmente ridotti, senza contare il risparmio energetico dato dal fatto che uno dei principi cardine dell’economia circolare è costituito dall’utilizzo di risorse rinnovabili: non dover più importare petrolio, ad esempio, ridurrebbe i costi legati all’energia.

In più, il lavoro ci sarebbe comunque, in quanto gli stabilimenti dovrebbero creare settori pensati per la trasformazione del prodotto usato. Proprio questa ultima caratteristica risponde anche alla domanda “ma non aumenta la disoccupazione?”. Tutto il contrario, con questo sistema si creano nuovi posti di lavoro, nuovi ruoli dedicati a questa funzione da assolvere.

Ma parliamo un po’ di numeri. Lo studio Growth within: a circular economy vision for a competitive Europe, realizzato dal McKinsey Center for Business and Environment in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation e il Sun (Stiftungsfonds für Umweltökonomie und Nachhaltigkeit) stima che il risparmio potrebbe essere di circa 1 800 miliardi l’anno entro il 2030, portando il PIL europeo al +7%.

E’ doveroso sottolineare che questa stima è stata svolta quando la crisi portata dall’emergenza sanitaria non esisteva nemmeno negli incubi peggiori, quindi ovviamente i numeri cambiano, sia per la crisi appunto, sia per i nuovi sistemi proposti dall’UE (l’ecologia è uno dei punti cardine del Recovery Fund, sebbene con qualche contraddizione). Rimane però chiaro che no, l’economia circolare non costituirebbe la rovina delle aziende, ma il contrario.

Perché non ci hanno pensato prima allora, se è tutto così vantaggioso?

Il grande ostacolo che ha frenato le aziende fino a questo momento è la grande somma di denaro richiesta per adattare il loro sistema produttivo a quello circolare (si parla di miliardi di euro), ma i fondi che si prospettano, e il vantaggio che ne ricaverebbero in quanto i consumatori preferiscono acquistare beni provenienti da economie circolari piuttosto che lineari, fa tuttavia ben sperare nel fatto che in un futuro non troppo lontano questo limite possa essere superato.

Martina Di Paolantonio
Dal 1999 faccio concorrenza all'agenzia di promozione turistica abruzzese, nel tempo libero mi lamento per qualsiasi cosa.

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