Radici racconta la storia della Prima Repubblica italiana, dal 1946 al 1994.
La loggia massonica Propaganda 2, conosciuta meglio come P2, rinacque nel secondo dopoguerra, in quanto tutta la massoneria fu soppressa dal fascismo. Il nome della loggia è stato sempre legato a vicende torbide.
Il personaggio di spicco, nonché la persona ritenuta l’artefice di tutti questi intrighi, fu Licio Gelli.
La figura di Gelli è a dir poco controversa: di origini toscane, aderì attivamente prima al fascismo e alla Repubblica Sociale Italiana e poi, quando annusò l’odore della sconfitta, passò con nonchalance al fronte opposto, diventando collaboratore dei partigiani. Nel 1963 entrò a far parte della massoneria italiana e rapidamente scalò le gerarchie, intessendo negli anni a seguire rapporti con persone inserite in qualsiasi contesto di potere.
Della P2 si iniziò a parlare saltuariamente nel corso degli anni ’70, un decennio in cui il nome della loggia veniva citato sui giornali in riferimento a presunte attività illecite di una certa gravità. Per esempio in relazione all’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, il quale fu il primo magistrato a indagare sulla P2, oppure alle accuse di tessere trame eversive nel nostro Paese tramite il reclutamento di personalità influenti nella loggia.
La prima uscita pubblica di Gelli fu il 5 ottobre 1980 sulle colonne del Corriere della Sera, in un’intervista firmata da Maurizio Costanzo, anch’egli – si saprà più tardi – iscritto alla P2. In un passaggio Costanzo chiese a Gelli: «Sto conducendo una serie di colloqui con i rappresentanti del potere occulto in Italia. Lei ne è a pieno diritto un esponente. È d’accordo?». La risposta di Gelli non poteva che essere evasiva, ma comunque riconducibile al suo stile eccentrico: «A dire la verità mi sorprendo di essere in questa serie di interviste, ma il piacere di conoscerla è il motivo che mi ha fatto accettare. Io non ho mai ritenuto di avere un potere occulto come mi viene attribuito. D’altra parte, non posso impedire che gli altri lo suppongano».
Il 17 marzo 1981 le cose però cambiarono: una scoperta sconvolse il nostro Paese.
I giudici istruttori di Milano, Gherardo Colombo e Giuliano Turone, i quali stavano indagando sul presunto rapimento di Michele Sindona (uomo d’affari con cui Licio Gelli aveva stretti rapporti), ordinarono alla Guardia di finanza di perquisire la villa e la fabbrica di Gelli ad Arezzo. Qui trovarono una lista, forse parziale, degli iscritti alla loggia: 962 appartenenti tra membri dei servizi segreti, forze armate, imprenditori, magistrati, giornalisti, parlamentari, un segretario di partito, due ministri e addirittura il comandante della Guardia di finanza Orazio Giannini che chiamò il colonnello Vincenzo Bianchi, coordinatore della perquisizione, per informarlo che in quella lista avrebbe trovato anche il suo nome.
Persino i due giudici istruttori rimasero pietrificati di fronte a questa scoperta e si affrettarono a inviare una copia della lista degli iscritti al Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, in riferimento all’articolo 18 della Costituzione che proibisce le associazioni segrete e, in particolare, ad altri due articoli che prevedono la rimozione dagli incarichi pubblici di funzionari iscritti ad associazioni che «svolgono un’attività contraria all’ordinamento politico dello Stato». Il governo fu travolto dagli eventi e costretto alle dimissioni, soprattutto perché due ministri risultavano iscritti alla P2 e, in seguito a questo scandalo, si formò il primo governo non presieduto da un democristiano.
Per quanto riguarda le indagini nei confronti di Licio Gelli venne emesso un mandato di cattura, ma il faccendiere si rese fin da subito irrintracciabile. Nel frattempo iniziarono anche le inchieste parlamentari, che arrivarono a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle della magistratura. La commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 presieduta dalla democristiana Tina Anselmi, infatti, dopo più di due anni di lavori stabilì che gli elenchi degli iscritti erano veritieri, ma probabilmente incompleti, e confermò i fini eversivi della loggia, presentando tra i numerosi documenti anche il celebre Piano di rinascita democratica.
Di segno opposto, come si diceva, la sentenza della magistratura del 16 aprile 1994 che, rinnegando le conclusioni della commissione Anselmi, assolse Licio Gelli e altri venti imputati dall’accusa di attentato alla Costituzione mediante cospirazione politica perché “il fatto non sussiste”. La stessa Anselmi, sconsolata, commentò così la sentenza: «Questa conclusione, che un avvocato difensore ha voluto spiegare attribuendo alla P2 carattere di società commercialista, fa amaramente sorridere, perché i fatti, le vicissitudini su cui la commissione ha indagato ci hanno portato a dare giudizi diversi».
Certamente rimane il fatto che Licio Gelli fu un protagonista assoluto di una delle epoche più buie della nostra storia: quella delle stragi e della strategia della tensione.
Nonostante l’assoluzione nel processo del 1994 il faccendiere fu condannato in via definitiva per il depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna e recentemente è stato indicato come uno degli organizzatori e dei finanziatori della stessa. Inoltre, la P2, secondo un dossier dei servizi segreti, sarebbe stata implicata nel tentato colpo di Stato organizzato dal generale Junio Valerio Borghese nel 1970.
Ed è infine vero che restano davvero troppi interrogativi su faccende legate alla loggia e allo stesso Licio Gelli. Una questione su tutte è la veridicità o meno dell’organigramma della loggia; una tesi popolare, supportata dalle dichiarazioni della vedova di Roberto Calvi, afferma che il vero capo della P2 fosse Giulio Andreotti, un altro personaggio che si ritrova sempre nelle cronache sui misteri primo-repubblicani, ma di questo non si ha nessuna conferma.
Bibliografia:
- Storia del Novecento italiano, Simona Colarizi
- La Stampa, 1 ottobre 1976
- Corriere della Sera, 5 ottobre 1980
- Corriere della Sera, 9 maggio 1981
- Corriere della Sera, 21 maggio 1981
- L’Unità, 17 marzo 1994