Del: 4 Ottobre 2020 Di: Carla Ludovica Parisi Commenti: 0
Storie di libri: la letteratura su Instagram tra competenza e confronto

Si può parlare di libri sui social network e interfacciarsi così con un pubblico ampio senza tralasciare la dimensione della discussione e proponendo chiavi di lettura rigorose e profonde, nonostante questi strumenti in molte altre occasioni sembrino andare in direzioni differenti?

Se si prende in considerazione l’esperienza di Michela Procaccianti e Giordano Milo, studenti rispettivamente dei corsi di laurea magistrale in Lettere Moderne e Scienze Filosofiche alla Statale di Milano, la risposta a questa domanda è più che positiva. Da qualche anno infatti utilizzano i propri profili Instagram (@michelaprocaccianti e @giordanomilo) come spazi dove discutono anche delle loro letture.

Da quanti anni vi dedicate a questa attività?

Michela: Dal 2017, ma è stato un processo abbastanza lento: ho iniziato per il riscontro da parte delle persone che mi seguivano, all’epoca molte meno [attualmente sono circa 11.200, ndr]. Nonostante i numeri non molto alti, infatti c’era uno scontro abbastanza forte, si appassionavano a quello che dicevo, e siccome i libri li leggo a prescindere da Instagram ho pensato di iniziare a discuterne qui in maniera più sensata.

Ho pensato a un blog però parto dal presupposto che da fruitrice non vedo mai i blog. A volte è vero lo spazio su Instagram non basta. Mi sono ritrovata a tagliare i post per questioni di spazio, ma è un compromesso a cui si scende.

Giordano: Nel 2018. Anche io come Michela ho iniziato a pubblicare delle foto molto random senza commentarle e poi ho iniziato ad approfondire. Poi l’anno scorso è arrivato anche il blog nato da un’esigenza non mia, mi è stato chiesto di partecipare a un blog tour. Se dovessi indicare uno sprone che mi ha dato più grinta direi il Salone del Libro del 2019, nel quale ho fatto richiesta per il pass, che quell’anno hanno iniziato a dare anche a chi gestiva blog, pagine Instagram ecc. Qui ho conosciuto moltissime persone che fanno la stessa cosa. Sono restio a usare la parola bookblogger, ma ho percepito un sentimento di comunità virtuale.

È da prima della quarantena che non pubblico post sulle mie letture, ma in generale trovo che Instagram sia più facile da usare a questo scopo. Io non gestisco grandi numeri [un po’ più di 3200 follower, ndr] e va bene così, però certe volte vedere che chi fa meno e pubblica contenuti più superficiali ha un seguito molto maggiore può essere un po’ demotivante.

Avete mai pensato di condividere i vostri contenuti su un profilo pubblico ad hoc?

Michela: Dividere gli spazi? Non penso che lo farei mai, un po’ per pigrizia e un po’ perché condividerei gli stessi contenuti in entrambi. Secondo me funziona anche meglio: per esempio, alcune persone hanno iniziato a seguirmi per i viaggi e poi si sono interessati anche alle mie letture, quindi un profilo unico è comunque un veicolo per convogliare l’interesse per la lettura.

Giordano: La penso assolutamente allo stesso modo. Avere un profilo unico ha i suoi difetti, perché le persone che si stancano dei tuoi contenuti poi ti defollowano, e questo può essere molto seccante soprattutto se a farlo sono persone che conosci. Io però vivo la mia esperienza su Instagram come un diario della mia vita: la lettura fa parte della mia esistenza, è un pezzo di essa che voglio condividere con gli altri. Ci sono delle parti della mia vita che io non condivido a prescindere, non sento l’esigenza di avere un profilo secondario.

Ci sono generi, autori o epoche che prediligete?

Michela: Il mio periodo preferito è il Novecento italiano, e tendo naturalmente a leggere autori di questo periodo. I miei followers lo sanno e c’è il discorso della fidelizzazione: funziona molto perché ho visto che quando vario c’è gente che mi segue anche se non parlo di autori italiani morti.

Non leggo molti contemporanei, soprattutto quelli italiani, e se lo faccio è o perché mi ispira il titolo/incipit/trama o perché devo leggerli per il Bestiario letterario, il gruppo di lettura del Colibrì, che mi ha fatto scoprire titoli e autori che non conoscevo, come Annie Ernaux e Un’Odissea di Mendelsohn.

Giordano: Non ho mai considerato granché i generi letterari, sono categorie che esistono e credo abbiano una rilevanza ma io sono un lettore onnivoro da questo punto di vista. Tendo di più a fidelizzarmi sull’autore, pensavo in particolare a Carlo Emilio Gadda, che mi è caro perché ricordato come ingegnere-filosofo. Ho un po’ questa idea di letteratura, cerco sempre di leggerla da un punto di vista filosofico: cosa ha da dirci l’opera, oltre a raccontarci una storia? Quello che distingue una storia da un’altra e cosa ci comunica. Leggo anche filosofia, anche se meno di quanto si direbbe: naturalmente la leggo per motivi di studio, ma nel tempo libero preferisco altre letture.

Da un annetto ho iniziato a collaborare con un professore di filologia dell’Università della Calabria che dirige una collana di classici per Caravaggio Editore. Questa collaborazione consiste nella correzione di bozze, ma abbiamo anche tradotto insieme per la collana “Classici ritrovati” un piccolo racconto della Burnett, attività che mi ha dato la possibilità di approfondire alcuni autori come Charles Dickens, Jean Webster, Lucy Maud Montgomery e Jerome Klapka Jerome attraverso opere non canoniche.  

Come analizzate i testi?

Michela: Quando ho dato l’esame di “Critica e teoria della letteratura” ho acquisito certe competenze narratologiche e nell’analisi ho iniziato a tenere in mente molte cose. Per esempio, do molta attenzione alla figura del narratore. Tengo molto conto del target di un libro e del suo fine, sono molto meno tranchant che in passato, e questo mi permette di finire i libri. Anche quando esprimo giudizi negativi cerco di discutere e accogliere punti di vista diversi dal mio. È importante scindere il gusto dall’oggettività.

Giordano: Abbiamo lo stesso approccio. Spesso al Bestiario abbiamo partecipato a discussioni, ma abbiamo sempre concordato su un punto: l’autore deve giustificare le interpretazioni della sua opera non per principio di autorità ma sulla base dell’opera stessa. Sono pignolo, mi piace trovare il pelo nell’uovo e ho imparato un certo modo di leggere un’opera.

La cosa fondamentale non è avere chissà quali competenze: non sono laureato in Lettere, molti bookblogger non lo sono. Il discrimine tra essere un buon o cattivo lettore non è la laurea o una grande biblioteca: bisogna capire quello che si legge e da allora si può apprezzare tutto. Posso dissentire per gusto.

C’è anche un discorso di responsabilità per chi è molto seguito e certe volte può agire per il peggio: se allontani una persona da un testo meritevole si possono fare dei danni. Questo accade per esempio con le traduzioni: circolano infatti delle recensioni che giudicano buona una tradizione sulla base della sola scorrevolezza, cosa che non è un metro di giudizio, perché il traduttore non deve emendare i limiti del testo originale.

Vi occupate prevalentemente di narrativa: pensate che un discorso sulla saggistica possa inserirsi in questo contesto?

Michela: Leggo pochi saggi, e quelli per l’università non li metto su Instagram, anche se mi è capitato che mi chiedessero consigli critici su Genette e succede molto spesso che quando dico che sto preparando un esame mi chiedano cosa stia leggendo. Sto leggendo e condividendo però saggi sul femminismo: ho letto Il corpo elettrico, che tocca varie tematiche e molte persone si sono salvate il post e mi hanno suggerito altre letture. Sicuramente può essere un punto di interesse, però la saggistica è come se dovessi cercarla tu come contenuti su Instagram, mentre la narrativa è più avvicinabile.

Giordano: Dipende. Uno può benissimo entrare in libreria per comprare saggi ignorando la narrativa perché è loro interesse. Io quando parlo delle mie letture di saggistica sottintendo saggistica filosofica, e qui bisognerebbe considerare le differenze tra le diverse branche della filosofia. Giocano un ruolo molto importante le collane editoriali, come per esempio Raffaello Cortina, “Le Vele” di Einaudi, Laterza, Adelphi e Mimesis, che propongono titoli di qualità.

Prospettive per il futuro della vostra attività?

Michela: Ho intenzione di portarla avanti ma per quanto riguarda il futuro le incognite sono molte, in questo momento la mia testa è concentrata sul cosa fare della mia vita. Continuerò a parlare dei miei autori del cuore e alcuni del Novecento, a partecipare al Bestiario e al gruppo di lettura su Midnight Sun.

La vivo in maniera spontanea, non voglio mettermi in cattedra, mi sento in ansia quando consiglio un libro. Con chi mi segue ho un rapporto di parità, mi sembra l’unico possibile. Penso che mi vedano come una persona molto basic, come la loro compagna di banco.

Giordano: Tendenzialmente continuerei, finché non avrò un motivo per smettere, anche se farei tutto con i miei tempi. Non deve essere una responsabilità per me, lo faccio perché mi diverto, non deve diventare un peso. Una proposta proveniente da esterni naturalmente è un discorso diverso.

Sono onoratissimo quando qualcuno mi dice che ha seguito i miei consigli, ma i numeri sono piccoli, mi fa un po’ strano, mi sento in imbarazzo a dire “i miei followers”. Condivido quello che ha detto Michela sul non parlare come fossimo in cattedra: gli obiettivi nella vita sono altri, questa attività è piacevole, ma non è un biglietto da visita per il lavoro.

Sto cercando di approcciarmi al mondo della traduzione perché mi piacerebbe poter tradurre i testi filosofici su cui lavoro in lingua originale, e da qualche parte bisogna iniziare. Tradurre mi piace e il lavoro nell’editoria non è una cosa che escludo. Non so però fino a che punto la fruizione di questi contenuti sui social sia attenta e peculiare.

Immagini di copertina: ©Michela Procaccianti e ©Giordano Milo

Carla Ludovica Parisi
Laureanda in Lettere Moderne dagli orizzonti non solo umanistici. Amo la complessità, le sfide e i problemi da risolvere.

Commenta