Le proteste contro l’elezione di Lukashenko a Presidente della Bielorussia proseguono da più di due mesi e non danno segno di volersi spegnere, nonostante le reazioni sempre più dure della polizia. Tutto è iniziato il 9 agosto 2020 in occasione delle elezioni. Il malcontento tra i cittadini bielorussi è però diffuso già da tempo: nella prima parte dell’anno c’erano state delle manifestazioni dovute anche alla cattiva gestione dell’emergenza Covid-19. A oggi, i cittadini accusano il governo di brogli e manipolazioni durante il voto e chiedono le dimissioni del Presidente con successiva indizione di elezioni trasparenti.
Le proteste sono però rimaste inascoltate dal Presidente e pare che tali rimarranno, dal momento che non è stata aperta alcuna finestra di dialogo e non sono mancati atti di violenza da parte della polizia. I cittadini puntano probabilmente a suscitare una reazione da parte della comunità internazionale, in particolare dell’Unione Europea che per questa volta pare essersi mossa.
Venerdì scorso, il Consiglio europeo ha infatti deciso di imporre una serie di sanzioni alla Bielorussia per la manipolazione del risultato delle elezioni presidenziali, e per la successiva repressione compiuta dal regime contro gli oppositori.
Le misure sono dirette a quaranta persone vicine a Lukashenko, tra cui il Ministro dell’Interno Yuri Karaev e il comandante delle forze di risposta rapida, Alexander Valerievich Bykov, responsabile di arresti arbitrari e torture nei confronti dei manifestanti pacifici antigovernativi.
Le sanzioni consistono in due provvedimenti principali: il divieto di circolazione all’interno dell’UE e il congelamento dei conti bancari. Anche gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni mirate contro otto funzionari bielorussi. Nessun provvedimento diretto a Lukashenko, probabilmente per lasciare aperta la via del dialogo diplomatico. Per ora, tuttavia, il Presidente non ha dato segno di voler collaborare e ha anzi annunciato di voler imporre a sua volta delle sanzioni all’UE. Tra le misure minacciate, il ritiro di tutti gli accrediti di giornalisti stranieri nel Paese, i quali dovranno rifare la domanda da capo con il rischio che possa essere rifiutata. In questo modo, sarà difficile reperire notizie riguardanti il Paese, considerato che la stampa locale è sempre più controllata e oppressa dal regime.
La decisione dell’UE di imporre delle sanzioni contro la Bielorussia è particolarmente interessante perché coinvolge diversi interessi internazionali e porta con sé conseguenze che impattano non solo sull’UE e la Bielorussia, ma anche su Cipro e sulla Turchia. In molti nelle scorse settimane si sono chiesti perché l’UE non fosse già intervenuta a sostegno delle proteste contro quella che è stata definita l’ultima dittatura del continente, così vicina al territorio UE. Il motivo è quello che sta alla base di molti mancati provvedimenti dell’Unione Europea, ossia il potere di veto.
Quando il Consiglio dell’Unione Europea deve prendere una decisione in materia di sicurezza comune e politica estera, il provvedimento deve essere adottato all’unanimità. Ne consegue che il voto contrario di un singolo Stato porta al blocco del processo decisionale.
Nell’ambito delle sanzioni alla Bielorussia, lo Stato che per ben due volte ha bloccato la decisione è Cipro. La ragione è complicata e va cercata nella storia recente del Paese. Cipro è composta da due etnie: quella greca, che rappresenta la maggioranza, e quella turca. Quest’ultima nel 1983 ha proclamato la nascita della Repubblica di Cipro del Nord, riconosciuta soltanto dalla Turchia, che da quel momento ha cominciato a considerare i territori intorno al nord di Cipro come propri.
Cipro, naturalmente, non ha apprezzato le continue ingerenze all’interno del suo territorio da parte della Turchia, e ha quindi deciso di utilizzare il voto in Unione Europea come merce di scambio. In cambio della rinuncia a fare opposizione in materia di sanzioni alla Bielorussia, l’Unione Europea avrebbe dovuto prendere posizione contro la Turchia. E così è stato: l’UE ha minacciato Ankara di sanzioni se dovesse continuare a violare i confini di Cipro e Grecia. Nel frattempo, ha aperto un dialogo strategico con la stessa Turchia, con l’obiettivo tra le altre cose di «ridare slancio» all’agenda bilaterale e modernizzare l’accordo che permette al Paese di partecipare a una unione doganale con l’Unione Europea.
La questione Cipro-Unione Europea ha portato a interrogarsi ancora una volta sul diritto di veto: da una parte si riconosce che debbano essere tutelati gli interessi di tutti i Paesi, e che quando la sovranità di uno Stato viene minacciata sia giusto proteggerla. Dall’altra, ci si chiede se sia giusto che uno singolo Stato di un milione di cittadini possa esercitare così tanto potere a fronte di interessi dell’intera Unione, composta da 446 milioni di abitanti.