Questa rubrica racconta la campagna elettorale americana in vista del voto del 3 novembre. A questo link le puntate precedenti.
Mancano cinque giorni al 3 novembre, momento finale delle elezioni. Quasi 70 milioni di americani hanno già votato: moltissimi per posta, molti altri di persona – come il presidente Trump, che è andato ai seggi in Florida. Biden e Trump stanno intensificando comizi e apparizioni, cercando di consolidare le proprie posizioni e di guadagnare, nelle battute finali, ulteriori consensi.
I sondaggi
Da mesi i sondaggi nazionali danno Joe Biden in testa. In questo momento la media dei sondaggi elaborata dall’affidabile sito FiveThirtyEight assegna al candidato democratico il 52,3%, più di 9 punti sopra al presidente repubblicano, che si ferma al 42,8%. RealClearPolitics, nella sua media, prevede Biden al 50,8% e Trump al 43,0%. Un distacco netto. Non bisogna dimenticare però che il voto non avviene su base nazionale: i candidati devono vincere nei vari stati e conquistare i grandi elettori che ogni stato mette in palio. Saranno poi i grandi elettori, in dicembre, a eleggere formalmente il presidente. Nel 2016 Hillary Clinton vinse con oltre 2 milioni di voti di vantaggio (rispettando le previsioni dei sondaggi nazionali), ma Trump riuscì a prevalere di pochi voti in alcuni stati decisivi, che assegnano molti grandi elettori, e vinse la presidenza.
Bisogna dunque prestare attenzione ai singoli stati. Stando a FiveThirtyEight, tra gli stati in bilico, dove Trump vinse nel 2016 ottenendo i successi decisivi per la vittoria, Biden è avanti in Michigan (16 grandi elettori, vantaggio di oltre 8 punti), in Pennsylvania (20 grandi elettori, di 5 punti), in Wisconsin (10 grandi elettori, di 7 punti), in Arizona (11 grandi elettori, di quasi 3 punti). In North Carolina (15 grandi elettori) e in Georgia (16) il distacco è inferiore ai 3 punti, entro i margini di errore, anche se Biden appare in lieve vantaggio. I due stati tradizionalmente in bilico, Florida (29) e Ohio (18), spesso decisivi nelle passate elezioni, arrivano al voto rispettivamente con Biden avanti del 2,3% e Trump dell’1,5%. In Texas, infine, secondo molti osservatori l’antica e consolidata maggioranza repubblicana è in affanno, sotto la pressione dei cambiamenti sociali e demografici delle stato, sempre più popolato da immigrati latinoamericani: al momento Trump sembra resistere, in vantaggio di 1,2%.
Biden dunque appare in vantaggio anche nel complesso degli stati. Però la partita non è affatto chiusa: una rimonta dell’ultimo momento in alcuni contesti decisivi – ad esempio gli stessi dove prevalse nel 2016 – potrebbe consentire a Trump di vincere o comunque di intaccare il distacco dello sfidante democratico. Il fatto che molti elettori abbiano già votato è un segnale positivo per Biden, ma la mobilitazione dei repubblicani il giorno del voto, di persona, potrebbe modificare la tendenza generale. Inoltre, non bisogna sottovalutare vari altri fenomeni di cui abbiamo parlato nelle scorse puntate: dal red mirage, al tempo limitato concesso per lo spoglio dei voti per posta, alla lentezza dello scrutinio, al fatto che lo spoglio di alcuni stati inizi quando in altri si stia ancora votando. Il momento decisivo, insomma, sarà la notte elettorale del 3 novembre.
Senato e Camera
Non si vota solo per il presidente. Il 3 novembre gli elettori dovranno eleggere 35 senatori su 100 – il Senato, ora a maggioranza repubblicana, rinnova ogni due anni un terzo dei suoi membri – e tutti i 435 deputati della Camera dei Rappresentanti – che al momento è in mano ai democratici. Se i repubblicani dovessero mantenere il controllo del Senato rappresenterebbero una notevole spina nel fianco dell’eventuale presidenza Biden, mentre se i democratici dovessero conquistarlo la vittoria sarebbe ancora più larga e chiara. Il mandato dei deputati della Camera dura due anni (quindi nel 2022 dovranno essere rinnovati), mentre quello dei senatori dura 6 anni.
L’ultimo dibattito
Il 23 ottobre Nbc ha organizzato il secondo e ultimo dibattito tra i due candidati. Il confronto è stato più civile e composto del precedente, anche se altrettanto intenso. Trump è apparso più ordinato e coerente: non ha interrotto l’avversario, ha rimarcato più volte la lunghissima carriera politica di Biden (“Perché queste cose non le hai fatte prima”) e ha cercato di riconquistare il consenso delle frange più moderate dell’elettorato, che sembra aver allontanato, negli ultimi mesi, con i suoi toni duri e sopra le righe. Biden si è dimostrato più vitale, particolarmente incisivo in materia di welfare e sanità. La moderatrice Kristen Welker ha mantenuto le redini, evitando le degenerazioni del primo dibattito; anche la regola dello spegnimento automatico del microfono, per evitare sovrapposizioni, ha sortito effetti positivi.
Secondo il fact checking della Cnn Trump ha riempito i suoi interventi, anche questa volta, di numerosissime bugie e mistificazioni: ha sostenuto che il vaccino è già pronto, che Biden ha ricevuto finanziamenti dalla Russia, ha detto che il suo avversario vuole “rendere socialista” l’assistenza medica. Tutto falso.
Un momento decisivo è avvenuto alla fine del dibattito. Biden ha assicurato di voler avviare una transizione (per la verità già in corso) dal fracking, l’estrazione di gas e petrolio, verso sistemi più puliti di produzione dell’energia. Trump l’ha incalzato – “Questa è una grossa affermazione” – e l’ha messo in difficoltà, accusandolo di voler togliere il lavoro ai milioni di americani impiegati in queste attività. E ha concluso: “Ve ne ricorderete Texas, Pennsylvania, Oklahoma?”, facendo riferimento ad alcuni stati pesanti dal punto di vista elettorale dove moltissime persone lavorano nel settore. Nei giorni successivi la campagna di Trump si è concentrata sul punto, rilanciandolo sui social e negli spot televisivi. Secondo alcuni osservatori può essere la scintilla in grado di cambiare il corso delle elezioni. Sarà così?
Barrett è la nuova giudice
Il 26 ottobre il Senato ha confermato in tempi record (solo sei settimane) la nuova giudice della Corte Suprema: è la conservatrice Amy Coney Barrett, proposta da Trump. Barrett ha giurato poco dopo: nei prossimi giorni si unirà agli altri giudici, contribuendo alle prossime decisioni della Corte su temi decisivi come lo scrutinio dei voti per posta in alcuni stati.