Del: 29 Novembre 2020 Di: Francesca Rubini Commenti: 0
Kamala Devi Harris, un ritratto

Succederà tra qualche anno, tra qualche generazione, che una giovane donna seduta a un banco di scuola aprirà il libro di storia (o lo consulterà sul suo e-reader o su qualche nuovo dispositivo elettronico di cui ancora non conosciamo l’esistenza) e leggerà che nel 2020 il mondo assistette a una serie di eventi storici di portata universale come l’arrivo improvviso (previsto?) di una pandemia che ferì nel profondo l’economia, la società, modificò lo stile di vita di tutta la popolazione mondiale. 

E, come un piccolo spiraglio di luce in fondo a una grotta buia, in quello stesso anno una donna per la prima volta veniva eletta vice-presidente degli Stati Uniti d’America, la più grande potenza mondiale. 

Per qualche minuto facciamo finta di essere noi quella giovane donna e leggiamo insieme chi è Kamala Devi Harris. 

Kamala Devi Harris ha 55 anni ed è nata a Oakland, California. All’età di dodici anni si traferisce a Montreal, in Canada, con sua sorella e sua madre, di origine indiana, la Dottoressa Shyamalan Gopalan Harris che, dopo aver divorziato dal marito (di origine giamaicana), decide di trasferirsi per perseguire la sua carriera di ricercatrice. Un trasferimento che come racconta la stessa Harris fu uno shock culturale: un nuovo paese, un clima profondamente diverso dalla soleggiata California, una città straniera e francofona. 

Kamala Harris e sua sorella Maya

A Montreal, Harris frequentò la Westmount High, che annovera tra i suoi ex alumni niente meno che Leonard Cohen, una scuola il cui bacino comprende Little Burgundy, un quartiere che ai tempi rappresentava il fulcro della Black culture con i suoi storici jazz club.

Questo contesto canadese multiculturale ha sicuramente influenzato la giovane Harris.

È stato proprio in questo periodo che ha gettato i semi dell’attivismo e ha trovato un’affermazione culturale nella sua Black identity. 

Durante gli anni universitari, quando ritorna negli Stati Uniti per frequentare l’Howard University, a Washington D.C. – chiamata “La Mecca” – quei semi piantati qualche anno prima iniziano a germogliare: partecipa a proteste, si scontra nei dibattiti con studenti Repubblicani e allo stesso tempo critica alcune azioni dell’ala di sinistra come troppo radicali. Si unisce inoltre alla confraternita femminile Alpha Kappa Alpha, le cui iniziative puntavano a sottolineare i cambiamenti e le preoccupazioni della società di quegli anni.

Si impegna profondamente a esaltare l’importanza della rappresentazione della comunità afroamericana, unendosi alla generazione di studenti che decidono di invadere le istituzioni inavvicinabili per i loro genitori e avi

Insieme ai suoi coetanei dunque è figlia del movimento per i diritti civili: sono loro i primi beneficiari della desegregazione delle scuole. Gli afroamericani hanno finalmente accesso alle istituzioni e diritto alla carriera. 

Partecipare a quel sistema ingiusto è il modo più forte e impattante per diminuirne i danni. 

Dopo aver conseguito la laurea in legge all’Hastings College nel 1989, lavora come vice procuratrice-distrettuale a Oalkland fino alla fine degli anni ’90. Ed è in questa veste che guadagna per sé una reputazione: la sua fermezza nella gestione in particolare di casi relativi a traffici di droghe o abusi sessuali la fa emergere tra tanti, e riesce in questo modo a ottenere di essere eletta come procuratrice distrettuale della California nel 2004

Comincia così il suo percorso nella storia delle “prime donne”: questa elezione infatti le fa guadagnare l’apposizione di prima donna e primo procuratore distrettuale donna e di origine afroamericana.

Si fa notare a livello nazionale durante la Convention dei democratici del 2012 dove interviene a sostegno della ricandidatura di Barack Obama durante la corsa presidenziale contro Mitt Romney, e nel 2015 dichiara la sua candidatura per il Senato. Vince alle elezioni nel 2016. 

Questo fruttuoso percorso politico la porta a decidere di inseguire la candidatura presidenziale alle elezioni del 2020. 

Ormai famoso è lo scontro avvenuto durante la seconda notte di dibattito organizzato dalla CNN con il futuro neo presidente eletto, Joe Biden, sullo “school busing” degli anni ’70/’80, o anche detto il “desegregation busing”: quella pratica statunitense che prevedeva il trasporto degli studenti afroamericani fuori dal loro distretto per favorire il reale processo di desegregazione (nonostante per legge la desegregazione delle scuole fosse già avvenuta nel 1954). 

Dopo un iniziale crescente supporto, a fine 2019 la campagna di Harris si è trovata in serie difficoltà, e da qui la scelta di ritirare la sua candidatura. 

Siamo a marzo, 2020, e un giovane afroamericano ancora una volta viene ucciso sotto la custodia della polizia statunitense: George Floyd a Minneapolis. Ne risulta un movimento di protesta con risonanze in tutto il mondo, e tra i leader di questo movimento c’è proprio Harris che, in questo modo, cerca di mettere a tacere le accuse di aver mantenuto un atteggiamento “soft” come procuratrice distrettuale nei casi di miscondotta di alcuni poliziotti coinvolti in sparatorie e uccisioni di afroamericani in circostanze sospette.

Poi la decisione – non casuale ma dettata dai tempi – di Joe Biden di scegliere come sua vice proprio Kamala Harris, che durante questa corsa presidenziale ha dovuto combattere almeno due bias, dovuti al suo essere donna e al suo essere donna di origine afroamericana

Guardiamo alle etichette che Mr. Trump le ha assegnato in quanto donna, “totally unlikable”, “this monster”.

Guardiamo al fatto che è stato messo in dubbio anche il suo essere americana, nata in suolo americano (tornano in mente le accuse che proprio Trump aveva avanzato nei confronti dell’ex presidente americano Barack Obama). 

Guardiamo alle speculazioni relative al suo avanzamento di carriera dovuto a una sua passata relazione con Willie Brown, primo sindaco nero della città di San Francisco.

Relazione messa in dubbio perché sia mai che una donna raggiunga posizioni di potere per suo merito.

(Di tutto questo ne abbiamo parlato qui in un’altra infausta circostanza.)

E poi, prima di chiudere il nostro libro di storia, riflettiamo su quante altre prime volte dovranno esserci ancora per il genere femminile.

Se ci sarà mai o presto un momento della storia in cui finalmente non sarà più importante sottolineare quando a raggiungere determinati obiettivi sia una donna o un uomo.

Ma si parli di altro, di cosa può apportare per le sue capacità, esperienze, carisma, idee per cambiare il mondo.   


Immagine di copertina realizzata per Vulcano Statale da Domitilla Pastore. 

La trovate su IG: https://www.instagram.com/im.domitilla/

Tik Tok: https://vm.tiktok.com/ZSgQaHDy/ 


Sitografia: 

https://www.nytimes.com/video/us/100000007442387/kamala-vice-president.html?searchResultPosition=2

https://www.nytimes.com/2020/11/09/us/kamala-harris-california-history.html?searchResultPosition=4

https://www.nytimes.com/video/us/100000007442387/kamala-vice-president.html?searchResultPosition=2

https://www.npr.org/2020/10/13/923369723/lets-talk-about-kamala-harris?t=1606586297729

Francesca Rubini on Instagram
Francesca Rubini
Vado in crisi quando mi si chiede di scrivere una bio, in particolare la mia, perché ho una lista infinita di cose che mi piacciono e una lista infinita di cose che odio. Basti sapere che mi piace scrivere attingendo da entrambe.

Commenta