Del: 15 Novembre 2020 Di: Michela La Grotteria Commenti: 1
Le nuove Marianne di Polonia

Una donna in mezzo alla strada invasa dai manifestanti, alle sue spalle il fumo rosso e verde dei fumogeni, in mano una bandiera arcobaleno: l’hanno soprannominata “la Marianne polacca”, in riferimento alla figura femminile sulle barricate ne La libertà che guida il popolo di Delacroix. La foto è stata pubblicata sull’account Twitter di Marta Habior, una produttrice cinematografica di Varsavia.

Quella donna, e molte altre con lei, stanno davvero lottando per la libertà.

Nelle ultime due settimane sono scese in strada per opporsi all’entrata in vigore di una legge contro l’aborto terapeutico, annunciata dal partito conservatore Diritto e giustizia (PiS), al governo dal 2015. La nuova legge impone limitazioni draconiane: l’aborto sarebbe consentito solo nei casi di incesto, stupro o grave minaccia per la salute della madre. Un margine veramente ridotto, il 2% circa dei casi di aborto legale finora esercitati.

La prima bozza della legge era stata pubblicata già dal 3 ottobre 2016, e già aveva causato sollevazioni, ma nelle ultime settimane il governo ha deciso di inasprire la legge inserendo restrizioni ancora più agghiaccianti: anche nel caso di una malattia grave ed evidente del feto, che ne causerebbe la morte subito dopo la nascita, l’interruzione della gravidanza resterebbe illegale. La modifica è stata richiesta da un centinaio di parlamentari per i quali anche in caso di malformazione l’aborto sarebbe contrario ai principi della Costituzione che proteggono la vita di ogni individuo. Qualcosa di fronte al quale le donne polacche non potevano rimanere in silenzio.

Le manifestazioni sono partite a Varsavia, vicino alla casa del leader del PiS, al grido To jest wojna (“questa è guerra”), ma in pochi giorni si sono estese all’intera nazione. Non solo le strade sono state occupate: gruppi di donne armate di striscioni e uova hanno colpito e invaso le chiese, dimostrando così la loro ferma opposizione alla simpatia crescente tra Chiesa polacca e partiti tradizionalisti. Simpatia che ha il suo argomento centrale nel controllo sui diritti riproduttivi delle donne.

Da tempo il governo polacco si dà da fare per sottrarre sempre maggiori fette di diritti umani ai suoi cittadini.

Oltre alle donne, nel mirino è finita la comunità LGBTQ+ che si è vista bandire da alcune zone del Paese (fino a un terzo del territorio) che si sono dichiarate “libere dall’ideologia LGBTQ+”. Il tutto mentre per le strade si sono visti anche autocarri con striscioni che equiparavano l’omosessualità alla pedofilia. Già da qualche anno dunque in Polonia l’aria che si respira è soffocante: per tornare all’aborto, si stima che tra le 80mila e le 120mila donne polacche ogni anno siano costrette ad andare all’estero per ottenerne uno, oppure a ricorrere a pratiche clandestine. I toni e le azioni del governo si stanno facendo più aggressivi, e paradossali: in un discorso recente, trasmesso in televisione, Jarosław Kaczyński, leader del Pis, si è appellato ai gruppi nazionalisti per “difendere” le chiese contro le donne.

Però. C’è un però, una nota positiva. Le proteste di massa hanno dato i loro risultati: sono riuscite a fermare la pubblicazione della sentenza prevista per il 2 novembre, a seguito della quale sarebbe stata resa effettiva. Stando a una dichiarazione del capo dell’ufficio del primo ministro ci sarebbe una discussione in corso per stabilire come trovare un compromesso: un’apertura lieve, che non sembra ancora abbastanza per placare la marcia delle donne.

Michela La Grotteria
Made in Genova. Leggo di tutto per capire come gli altri vedono il mondo, e scrivo per dire come lo vedo io. Amo le palline di Natale, la focaccia nel cappuccino e i tetti parigini.

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