Si è conclusa domenica 25 ottobre la mostra fotografica dal titolo “Ri-scatti. Per le strade mercenarie del sesso”, organizzata come ogni anno insieme al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano dall’associazione di volontariato RiSCATTI Onlus, impegnata dal 2014 nella promozione di progetti di riscatto sociale attraverso l’utilizzo di un semplice strumento: l’obiettivo di una fotocamera.
Dallo scorso 16 ottobre, gli ottanta scatti realizzati da sette prostitute dell’hinterland milanese sono rimasti esposti nell’edificio di via Palestro, simili a trasparenti finestre cui i visitatori hanno avuto la possibilità di affacciarsi. Una preziosa possibilità di venire a contatto con la dura, scomoda realtà dello sfruttamento della prostituzione. L’esposizione ha rappresentato il culmine di un progetto che ha visto queste sette donne, di età compresa tra i 19 e i 50 anni e di nazionalità differenti, ma avvinte dalle stesse, terribili catene, partecipare insieme ad un workshop di fotografia guidato dai professionisti di VisualCrew. Ne sono scaturite immagini di indicibile potenza, tramite le quali esse hanno saputo restituire con esattezza e sincerità ogni piccolo tassello della loro quotidianità, dominata sì dalla strada, dalla paura e dallo sconforto che da essa emanano, ma certamente a essa non riducibile.
Ciascuna di queste fotografie ha saputo infatti rendere tangibile l’umanità di queste donne, le quali, contrariamente a quanto troppo spesso accade, devono e meritano di essere considerate persone, e non semplici oggetti che possano essere dimenticati e abbandonati all’angolo di una via buia dopo essere stati utilizzati per il mero soddisfacimento di bisogni carnali.
Ciascuna di queste fotografie ha saputo mettere in evidenza come la realtà di queste donne non si esaurisca nella professione che esse sono state costrette a intraprendere con la forza, dopo essere state sradicate dal loro paese d’origine, ingannate o minacciate, ma si costituisca di tanti altri piccoli elementi che ci permettono di sentirle maggiormente vicine a noi, donne e uomini liberi.
La nostra indifferenza o ipocrita cecità è portata in questo modo a tramutarsi in un sentimento di forte empatia nei confronti di queste ragazze. Troppo spesso dimenticate, troppo spesso condannate dalla società nella quale vivono, senza che quest’ultima si preoccupi neppure di verificare quali vicissitudini stiano alle loro spalle, quali atrocità abbiano dovuto subire e quali ricatti ancora oggi impediscano loro di abbandonare la strada e quella condizione di schiavitù nella quale versano.
«L’esperienza in strada ti lacera il cuore per sempre»: compare nero su bianco e a carattere cubitali di fianco a uno di questi scatti incorniciati raffigurante un manichino femminile sul cui capo è stata posata una parrucca scura. Un’ulteriore prova del fatto che, nonostante queste ragazze siano pagate secondo il principio «20 bocca, 30 tutto, 50 con pazienza», esse non sono semplici macchine erogatrici di un servizio suscettibile di valutazione economica, ma donne costrette a vendere ciò che di più prezioso possiedono: corpo, libertà, piacere, sentimenti. Il loro cuore non sarà più in grado di riprendersi dai maltrattamenti subiti.
Accanto alle immagini cupe della strada, appena illuminate dalla luce asettica di un lampione o dai fari di una qualche indifferente automobile, accanto a quegli scatti notturni dai contorni poco definiti in cui le prostitute appaiono poco più che ombre – quasi quell’ambiente fosse realmente in grado di svuotare i loro corpi di quelle sensazioni e di quegli stati d’animo da cui dipende la loro solidità di persone umane, facendole precipitare in un’apatia senza la quale non sarebbero forse in grado di affrontare gli orrori che ogni giorno si parano loro dinanzi – troviamo fotografie differenti, dai colori accesi, animate da una vitalità e da una speranza che neppure la schiavitù ha il potere di annientare.
Sono proprio queste fotografie, questi spaccati di vita trasudanti umanità e quotidianità, raffiguranti una mensola stracolma di cosmetici e lozioni per il corpo, un canestro di frutta fresca, una donna sdraiata sul letto del proprio bimbo o della propria bimba, che si copre il viso con la mano mentre abbraccia un grande unicorno di peluche, che andrebbero mostrati a coloro che ogni giorno si servono di queste donne per soddisfare i propri bisogni e le proprie fantasie.
«La prostituzione coatta, infatti, (…) è umiliazione, è tortura, è violazione, è sfruttamento – così recita il testo introduttivo alla mostra a cura di Diego Sileo, conservatore del PAC e curatore dell’esposizione – e dunque gli uomini che usano donne che si prostituiscono contro la loro volontà sono dei predatori e degli stupratori, complici dei criminali che ne gestiscono la tratta e lo sfruttamento. È la domanda che fa il mercato, che dà impulso alla tratta e allo sfruttamento – ricorda ancora Sileo. È la domanda che alimenta la schiavitù. Molti studiosi e attivisti considerano la richiesta maschile di sesso a pagamento come la causa principale dell’espansione della prostituzione, senza la quale protettori e trafficanti non trarrebbero guadagni elevati nell’assicurarne la fornitura. A prima vista una tale affermazione potrebbe appare semplicistica, poco rigorosa e concettualmente discutibile; è ovvio, tuttavia, che senza la domanda maschile il mercato della prostituzione crollerebbe».
Non possiamo fare a meno di pensare anche noi che sia proprio così, soprattutto dopo aver dato anche solo una rapida lettura alle spaventose cifre riportate sul pannello installato nella prima sala dell’esposizione e riferite a dati raccolti dalla Cooperativa Sociale PARSEC, da Save the Children, dal numero verde Antitratta e dalle associazioni OIM e Lule – cui peraltro saranno devolti i fondi raccolti attraverso la vendita delle fotografie esposte.
Lule è infatti un’associazione laica nata nel 1998 ad Abbiategrasso e che da molti anni si occupa di offrire aiuto alle vittime della tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento sessuale tramite azioni concrete. Secondo questi dati, le donne vittime di prostituzione in Italia sarebbero 70.000 (di cui 4.000 in Lombardia), e 9.000.000 sarebbero invece gli uomini clienti di prostituzione soltanto nella nostra penisola, per un giro di affari annuo stimato tra i 2,2 e i 5,6 miliardi di euro. Di queste donne, 9 su 10 sono straniere, e per la precisione il 49% di loro proviene dall’Est Europa, il 42% dalla Nigeria, il 4,5% dall’Albania e il restante 4,5% da altri paesi. In totale sono circa 1.000.000 le donne in Europa costrette a vendere il proprio corpo per guadagnarsi da vivere, e la metà di queste deve essere considerata come una vera e propria schiava.
Dinanzi a questi numeri esorbitanti e in costante crescita, un’esposizione come questa non può che aver rivestito un’importanza fondamentale. Ha permesso di gettare luce su di una realtà alla quale troppo spesso opponiamo una solida indifferenza e ha fornito un’occasione di rivalsa, di riscatto, appunto, a donne disperate, riaccendendo forse in loro la speranza di poter un giorno tornare ad essere padrone di loro stesse e donando forse loro una forza nuova.